Nel libro “Molti inconsci per un cervello. Perché crediamo di sapere quello che non sappiamo” (Mulino 2018) Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà si propongono di indagare i rapporti tra la vita mentale conscia e quella inconscia.
Tutti abbiamo sentito parlare dell’inconscio in senso freudiano. Ma quest’ultimo non è l’unico inconscio rilevante. Ben più importante è l’inconscio cognitivo cui si è aggiunto, negli ultimissimi tempi, l’inconscio artificiale.
Il quadro definitorio e concettuale delineato dagli autori può essere così sintetizzato.
1) Cos’è la coscienza. Legrenzi e Umiltà tracciano innanzitutto una “storia naturale della coscienza” per soffermarsi sui diversi criteri adottati per definire il momento in cui essa è apparsa nella parabola dell’umanità. Secondo un primo criterio, si ha coscienza quando si è capaci di costruire strumenti che servono a costruire altri strumenti (perché questo richiede una certa forma di consapevolezza di uno scopo non immediato e visibile solo con gli occhi della mente) (p. 28) . Un diverso criterio, invece, (ritenuto preferibile) lega la coscienza alla capacità di autorappresentazione resa possibile dalla costruzione di un modello mentale che descrive noi stessi (p. 32).
2) Coscienza dell’inconscio. Esistono contenuti della mente (ovvero: rappresentazioni e processi) dei quali non abbiamo esperienza. Usando un gioco di parole possiamo dire che siamo consci dell’esistenza di contenuti mentali di cui non siamo consci. L’inconscio freudiano (a) è rappresentato da contenuti sepolti nella nostra mente che alcuni esperti possono aiutare a portare alla coscienza. Cosa diversa è l’inconscio cognitivo (b): gli esseri umani si sono evoluti in modo da produrre pensieri veloci, decisioni intuitive, azioni immediate, emozioni automatiche (si vedano gli studi di Kaheman[i] sulla distinzione tra pensieri lenti e pensieri veloci; e gli scritti di economia comportamentale che fanno leva proprio su queste caratteristiche della mente per costruire i nudges, ovvero “le spinte gentili”[ii]). L’inconscio artificiale (c) si è sviluppato negli ultimi anni grazie agli algoritmi e alla rete: esso ci ingabbia nel nostro passato di consumatori e continua a riproporci i nostri gusti e atteggiamenti consolidati dalle scelte e dai modi di vita del passato (p. 189).
3) Come funziona l’inconscio cognitivo. Legrenzi e Umiltà descrivono alcuni degli esperimenti che sono stati condotti per dimostrare scientificamente l’esistenza dell’inconscio cognitivo (es.: repetition priming e semantic priming). Ma gli studi dimostrano anche un’altra cosa (Libet e altri[iii]): il cervello decide prima che ci sia coscienza della decisione presa. In particolare, grazie alla risonanza magnetica funzionale ci si è accorti che le aree del cervello deputate ai processi decisionali si attivano ben prima del momento in cui il soggetto riferisce di essere conscio di avere preso una certa decisione. Tali evidenze mettono in dubbio l’esistenza del “libero arbitrio”. E sul piano giuridico rendono necessario rimeditare il concetto di “imputabilità”.
4) A cosa serve la coscienza? Se è vero che molti funzioni mentali si svolgono fuori dal controllo conscio, ci si può chiedere quale sia il ruolo della coscienza. Secondo gli autori la coscienza controlla e inibisce. Più specificamente la coscienza abilita i processi di controllo.
5) Ci si può fidare dell’inconscio cognitivo? L’inconscio cognitivo si è formato nel corso della nostra evoluzione quando gli scenari esistenziali richiedevano rapidità di decisione ai fini della stessa sopravvivenza. Secondo Kahneman gli esseri umani posseggono due sistemi mentali: il Sistema 1 che opera in fretta e automaticamente, con poco o nessuno sforzo e nessun senso di controllo volontario; e il Sistema 2 che indirizza l’attenzione verso le attività mentali impegnative che richiedono focalizzazione, come i calcoli complessi. Le operazioni del sistema 2 sono molto spesso associate all’esperienza soggettiva dell’azione, della scelta e della concentrazione[iv]. Il Sistema 1 agisce attraverso le euristiche, sistemi di decisione semplificati[v]. Il fatto è che le euristiche ci portano talvolta fuori strada (ma per una visione più ottimistica delle euristiche o “regole del pollice” v. Gigerenzer[vi]). Dopo aver ricordato questo filone di ricerche, Legrenzi e Umiltà ricordano alcune limiti dell’inconscio cognitivo. Ad esempio la cosiddetta “illusione della conoscenza” ovvero “l’effetto Dunning-Kugrer”. Questi due studiosi della Cornell University hanno dimostrato sperimentalmente che chi è scarso in prove linguistiche, logiche o di altro tipo tende a sovrastimare le proprie capacità, mentre questo non capita ai migliori (p. 124)[vii]. Le conoscenze richieste per fare bene una cosa sono le stesse necessarie per rendersi conto di non saperla fare. Gli autori del libro ricordano il lavoro di due studiosi che hanno analizzato in dettaglio le microfondazioni del “populismo” e cioè i corto circuiti tra l’inevitabile incompetenza del votante e l’evitabile impreparazione del votato. Specialmente quando una questione preoccupa e ci rende ansiosi, preferiamo affrontare i problemi sfrondandoli, attenti a pochi dettagli, vedendo gli alberi ma non la foresta (p. 132)[viii].
6) Inconscio cognitivo, scelte etiche e libero arbitrio. Il rapporto tra attività conscia e attività inconscia non funziona molto bene nel campo delle scelte etiche. Da una parte ci diamo dei criteri morali che dovrebbero guidare le nostre azioni. Dall’altro non siamo conseguenti negli scenari particolari quando siamo influenzati da determinati contesti. Il fatto è che spesso non ce ne rendiamo conto. Ed ignorando l’azione dell’inconscio cognitivo siamo portati a pensare che le nostre azioni siano libere da condizionamenti, mentre così non è.
7) Le 7 trappole dell’inconscio cognitivo. Legrenzi e Umiltà concludono il loro volume elencando le principali trappole che l’inconscio cognitivo prepara alla coscienza (che tenta, a volte inutilmente, di difendersi). Esse sono:
- a) La trappola delle descrizioni unilaterali e della focalizzazione. Siamo inconsciamente influenzati dai diversi modi di descrivere le stesse cose (le persone si sentono rassicurate se gli si dice, in caso di intervento chirurgico, “il 90% sopravvive” e non “il 10% muore”, anche se il contenuto informativo non cambia).
- b) La trappola della paura degli eventi e i pericoli oggettivi. Le paure sono alimentate dalla frequenza con cui i media parlano di certi problemi. Ma non è detto che un pericolo percepito sia oggettivamente tale sulla base della frequenza concreta con la quale si materializza nella realtà.
- c) La trappola del pensiero locale. Abbiamo difficoltà a tracciare un quadro generale complessivo. Questo ci impedisce di giudicare e decidere meglio.
- d) La trappola delle emozioni. Le emozioni (rimpianti, invidia, gelosie, etc.) sono molto importanti. Ma se la coscienza non le tiene sotto controllo ci conducono a decisioni non ottimali.
- e) La trappola del presente e dei tempi brevi. Ci siamo evoluti per orizzonti temporali brevi e ripetitivi (i modi di vita dei cacciatori-coltivatori). Siamo portati ad ignorare l’importanza degli investimenti (specie su se stessi, come nel caso dell’accesso all’istruzione superiore).
- f) La trappola del sapere. Siamo portati a credere che sappiamo tutto quello che è necessario sapere e che il futuro replicherà il passato. Non è così. Questo ci porta ad un rischio subdolo: non differenziare.
- g) La trappola della coscienza. La coscienza è nata perché è diventato necessario coordinare i prodotti dell’inconscio cognitivo. Ma la coscienza ha portato con se la “maledizione della conoscenza del nostro destino” (p. 183). Siamo probabilmente l’unico essere vivente ad avere consapevolezza della morte. Legrenzi e Umiltà forniscono la propria ricetta per superare questo limite.
Molti inconsci per un cervello è un bel libro. Scritto da due Maestri (Paolo Legrenzi è Professore emerito di Psicologia a Cà Foscari, Carlo Umiltà è Professore emerito di Neurospicologia a Padova), esso consegna al grande pubblico, senza smarrire la complessità del tema trattato, il distillato degli studi più recenti sul modo di funzionare del nostro cervello.
Se la coscienza è la capacità di autorappresentazione, una coscienza evoluta non può prescindere dal fare i conti con la parte più importante di noi stessi: il nostro pensiero. Un pensiero che, in buona parte, agisce senza giungere a livello conscio. Tutto questo ha importanti ricadute anche in ambito giuridico.
Mi limito a ricordare due campi di indagine.
Il primo è quello della imputabilità (cui si è già fatto riferimento). Se è vero che gli esperimenti hanno dimostrato come ogni input proveniente dall’ambiente provochi una risposta cosciente con un ritardo di circa mezzo secondo, questo significa che tra lo stimolo sensoriale e l’attivarsi della coscienza intercorre sempre un certo lasso temporale[ix]. Ne deriva che occorre interrogarsi sullo stesso concetto di colpa[x].
Il secondo attiene alla efficacia delle leggi. Se è vero che l’inconscio cognitivo (e i ragionamenti semplificati) governano in maniera rilevante i comportamenti umani, come essere sicuri che una determinata norma produrrà davvero gli effetti voluti? Per un approfondimento di questo tema rinvio alla seconda edizione del mio libro sulla “Creatività del giurista”, specie pp. 216 e ss[xi].
[i] Kahneman D. Pensieri lenti e veloci, Milano, Mondadori, 2013.
[ii] Thaler R. e Sunstein C., La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Milano, 2017.
[iii] Libet B., Gleason C.A., Wright E.W. e Pearl D.K., Time of conscious intention to act in relation to onset of cerebral activity (readiness-potential). The unconscious initiation of a freely voluntary act, in Brain, 1983, 106 (Pt 3), 623-42; Libet B., Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, in Behavioral and Brain Sciences, 1985, 8:529-566.
[iv] Kahneman D., Pensieri lenti e veloci, Milano, 2013, p. 25.
[v] Ne ho parlato in Pascuzzi G. La spinta gentile verso le vaccinazioni, in Mercato Concorrenza Regole, 2018, 89 e ss.
[vi] Gigerenzer G. Decisioni intuitive. Quando si sceglie senza pensarci troppo, Milano, 2009.
[vii] Kruger J. e Dunning D., Unskilled and unaware of it. how difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments, in Journal of Personality and Social Psychology, vol.77, n. 6, 1999, pp.1121-1134.
[viii] Sloman S. e Fernbach P., L’ illusione della conoscenza. Perché non pensiamo mai da soli, Milano, Raffaello Cortina, 2018.
[ix] In questi termini testualmente Bona C. e Rumiati R., Psicologia cognitiva per il diritto. Ricordare, pensare, decidere nell’esperienza forense, Bologna Il Mulino, 2014, p. 237.
[x] Vedi Crescini Paccani O., La colpa e la coscienza delle condotte tra diritto e scienze cognitive, Tesi di Laurea, Corso di Laurea in Giurisprudenza, Università di Trento, a.a. 2013-2014.
[xi] Vedi anche Pascuzzi G. Leggi e razionalità limitata, Trentino, 27 novembre 2018.