Valgo quello che guadagno?

DiGiovanni Pascuzzi

10 Maggio 2012

Sul Corriere della Sera del 9 maggio 2012 Federico Fubini chiede agli Atenei italiani di pubblicare i dati sulla posizione professionale e i redditi dei loro ex allievi a due e cinque anni dalla laurea, per capire «cosa è servito, che esiti ha prodotto studiare qui o lì, questa o quella materia».

Premesso che:

a) la finalità di Fubini è più che condivisibile: individuare «i mille corsi di laurea dalle denominazioni bizzarre e vuote, inventati spesso per distribuire cattedre a questo o a quello, vere fabbriche di disoccupati»;

b) essendo aperto a qualsiasi forma di valutazione degli Atenei, spero che l’Università di Trento soddisfi anche questa richiesta di informazioni;

c) il destino lavorativo dei miei studenti è la mia prima preoccupazione;

resta un interrogativo: possiamo davvero ancorare la valutazione della formazione Universitaria unicamente alla posizione professionale e al livello di reddito raggiunti dopo la laurea?

Molti credono che nell’economia moderna serva solo una formazione funzionale all’economia stessa (ovviamente si parla di un ben preciso modello economico, come se non ce ne fossero di diversi). Accettiamo per buona questa impostazione. Ma davvero bisogna solo insegnare quanto appare più utile a raggiungere una posizione professionale che (oggi, non sappiamo tra 10 anni) garantisce un buon reddito? O non ci si deve anche preoccupare di insegnare ai giovani di essere all’altezza dei compiti che dovranno affrontare, degli interrogativi etici che ogni scelta comporta? Una buona formazione è soprattutto quella che fornisce gli strumenti critici per essere protagonisti di una società. Anche perché non dobbiamo rinunciare a formare persone in grado di migliorare l’esistente, magari ideando nuovi modelli di sviluppo economico: creatività e cambiamento non sono forse le parole d’ordine dei nostri giorni? Ma il cambiamento può essere assicurato solo da chi ha gli strumenti per criticare i modelli in auge.

Da qualche tempo autorevoli economisti sostengono che il livello di benessere di una popolazione non si misura unicamente guardando al PIL. La Provincia di Trento ha modellato il programma di sviluppo per la XIV legislatura intorno al concetto di «capitale territoriale» che valorizza diverse componenti: capitale umano; capitale produttivo; capitale sociale e welfare; capitale identitario e culturale; capitale ambientale e infrastrutturale; capitale istituzionale e partecipativo. Se lo sviluppo di comunità e territori non viene più misurato solo in termini economici, perché valutare la formazione solo attingendo al livello di reddito dei laureati?

Conosco persone che guadagnano più di me: sono per questo migliori di me? Probabilmente. Ma conosco anche persone con redditi molto inferiori al mio. Di alcune di loro posso affermare con certezza che sono migliori di me.

Corriere del Trentino, 10 maggio 2012

 

Antefatto

Articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera del 9 maggio 2012

 

Verificare il Valore dei Titoli di Studio con i Redditi dei Neolaureati Online

Colpiscono di Elsa Fornero le critiche all’«atteggiamento snob dell’università» verso le imprese: «Troppo poco si è affrontato il confronto con le aziende per migliorare la corrispondenza tra domanda e offerta», ha detto di loro il ministro del Lavoro. Il governo non è ancora riuscito ha imboccare la via breve per correggere questi problemi: abolire il valore legale della laurea. Quando il titolo di studio non avrà più formalmente lo stesso peso ovunque sia stato ottenuto, le università dovranno darsi da fare per attrarre studenti in base alla loro reputazione e alla qualità o utilità di ciò che insegnano.

Per ora non è così, troppe resistenze. Eppure una possibile riforma a basso costo ci sarebbe, di efficacia elevata e per la quale basta probabilmente un regolamento del ministero. È sufficiente chiedere a ogni corso di laurea, di ogni facoltà, di tutte le università italiane di condurre un piccolo esercizio statistico. Devono (dovrebbero) pubblicare sul loro sito dati sulla posizione professionale e i redditi dei loro ex allievi a due anni e a cinque anni dalla laurea. Vogliamo sapere a cosa è servito, che esiti ha prodotto studiare qui o lì, questa o quella materia.

Sarebbe un piccolo impegno con un grande beneficio: quando valutano dove iscriversi, i ragazzi avranno un’idea più chiara sull’utilità delle varie opzioni. Potranno iniziare a capire che tipo di formazione serve in un’economia moderna. I perdenti di questa riforma saranno (sarebbero) i mille corsi di laurea dalle denominazioni bizzarre e vuote, inventati spesso per distribuire cattedre a questo o a quello, vere fabbriche del 35% di giovani disoccupati in Italia. L’Università Bocconi pubblica già sul web le medie di redditi e gli esiti professionali degli ex allievi di certi master; il sito www.almalaurea.it anche, in modo parziale. Ora è tempo di dare più trasparenza ai ragazzi su cosa è utile imparare e cosa no. In cosa vale la pena investire i propri anni e cosa può far perdere tempo ed energie. Poi ognuno sarà sempre libero di fare scelte «inutili» ma in sé appaganti. In piena consapevolezza.

Federico Fubini

Mercoledì 9 Maggio, 2012 CORRIERE DELLA SERA

 

Post articolo

Lettera di Visintin e risposta del Direttore

Articolo di Figà Talamanca sul Corriere della Sera del 15 maggio 2012

 

 

 

 

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