All’età di 51 anni Antonio racconta gli avvenimenti accaduti nelle 48 ore vissute quando ne aveva poco meno di 18, con suo padre (perennemente svegli), a Marsiglia.
Della trama del nuovo libro di Gianrico Carofiglio si possono raccontare altri dettagli: che i genitori di Antonio (due docenti universitari) sono separati da tempo; che Antonio ha sofferto da adolescente di epilessia ideopatica; che la scena si svolge a Marsiglia perché lì esercitava un luminare che curava quella sindrome.
Ma sarebbe totalmente inutile. La trama non è rilevante in questo libro (come forse negli ultimi o in tutti i libri dello scrittore, ex magistrato, barese).
Conta l’incontro tra un figlio adolescente e il proprio genitore: un viaggio alla riscoperta di un rapporto interrotto troppo presto a seguito della scelta del padre di separarsi dalla madre: senza che vengano esplicitate le ragioni vere dell’allontanamento. Ma anche questo alla fine non conta poi molto. Come l’iniziazione sessuale (con la trentasettenne Marianne) che simbolicamente chiude la due giorni insieme, quasi a sugellare il passaggio alla vita adulta e il passaggio di testimone (alla fine del libro apprendiamo che Antonio fa il professore universitario come il padre). Non i dettagli contano nel legame tra padre e figlio, ma la sostanza che lo contraddistingue dall’alba dell’uomo indipendentemente dagli incidenti di ogni singola storia: una sostanza fatta di conflitto e di scoperta, di lotte e di rimorsi, di educazione e di identificazione.
Carofiglio è bravo a scandagliare l’anima, le sensazioni, le dinamiche del pensiero quale che sia il pretesto: il racconto dell’amico morto suicida (un tema che torna quasi sempre nei suoi libri), su cui si innesta la riflessione sulla “prima infrazione di senso” (pag. 30) oppure la digressione sul jazz dove l’attenzione si concentra sul concetto di imperfezione (pag. 103); i ricorrenti pensieri adolescenziali (“il cunicolo in cui pensi che le tue esperienze siano uniche, ineffabili e tragiche, e soprattutto incomprensibili agli altri”: pag. 92) o il balikwas (“il saltare all’improvviso in un’altra situazione e non sentirsi sorpreso”: p. 154).
Carofiglio sembra aver trovato un modo scientifico di scrivere che tiene ancorato il lettore dalla prima all’ultima riga. Il titolo del libro riprende una frase di Scott Fitzgerald: “Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino”. L’anima, appunto.