Il film “Genio ribelle” (1997, diretto da Gus Van Sant) narra la storia di un ragazzo prodigio, Will Hunting (Matt Demon), che fa le pulizie al MIT di Boston. Un bravo psicoanalista (Robin Williams) riuscirà a fargli superare i problemi (violenze subite dal padre adottivo) che gli fanno vivere la vita con il freno a mano tirato.

Ma ad accorgersi del ragazzo è un luminare del MIT, il professor Gerald Lambeau (John Skarsgard). Egli scrive su una lavagna del corridoio una complessa equazione e chiede ai suoi studenti di risolverla. Il mattino dopo l’equazione è risolta: ma non dagli studenti bensì da Will, il ragazzo delle pulizie. Il professore comprende di avere di fronte un genio e ne prende a cuore le sorti, cominciando dal cercare di porre rimedio ai guai che Will ha con la giustizia.

Due profili meritano di essere sottolineati.

Il Prof. è convinto di dover indirizzare il genio nell’interesse del ragazzo e della stessa umanità. In una scena del film (minuto 1.12.00) litiga con lo psicoanalista secondo il quale il giovane deve solo cercare di essere felice infischiandosene del successo e della medaglia Fields (massimo riconoscimento per i matematici).

Ma degno di nota è anche il colloquio che si svolge tra il ragazzo e il professore quando scopre di avere incontrato una persona più brava di lui (minuto 1.25.00).

Professore: [Guardando il compito svolto dal ragazzo]. Questa equazione non può essere giusta. Sarebbe davvero imbarazzante.

Will: È giusta. Se la studi pure a casa.

Professore: Com’è finito il colloquio che ti avevo procurato?

Will: Non ci sono andato . Non organizzi altri colloqui.

Professore: Non lo farò. Te lo dò io un lavoro. Volevo solo che tu vedessi che cosa c’è là fuori.

Will: Senta forse non voglio passare il resto della mia vita a spiegare sciocchezze alla gente.

Professore: Potresti dimostrarmi un po’ di gratitudine.

Will: Un po’ di gratitudine? Lo sa quanto è facile per me questa equazione? C’è l’ha una pallida idea di quanto facile sia? Questo è soltanto un gioco e mi dispiace che lei non ci riesca veramente. Perché non dovrei starmene qui seduto a vederla sbattere la testa e a fare sciocchezze.

Professore: Così avresti più tempo per startene seduto a sbronzarti, vero?

Will: Giustissimo. Probabilmente sto sprecando il mio tempo.

Professore: Hai ragione Will. Non so fare questa prova. Ma tu si. E quando si arriva a questo…. Ci sono solo poche persone al mondo che possono dirti la differenza tra te e me e io sono una di quelle.

Will: Spiacente.

Professore: Anch’io lo sono. Spesso vorrei non averti mai conosciuto. Perché potrei dormire la notte. E non dovrei vivere con la consapevolezza che c’è qualcuno come te in giro. E non dovrei vederti gettare tutto al vento.

 

Quel professore vorrebbe valorizzare il giovane. Lo pungola perché ottenga il meglio: sa che può ambire al massimo riconoscimento per un matematico. In lui, probabilmente, vede la proiezione di se stesso.

Per altro verso comprende di avere di fronte una persona più brava di lui. Il vero genio. Il vedersi superato lo fa star male. Ma comunque vorrebbe fino alla fine che il giovane non butti al vento il proprio talento.

Un professore universitario (oltre a lasciare traccia nella mente di ogni studente che ha avuto) dovrebbe fare due cose: lasciare almeno un’idea e almeno un allievo migliore di lui.

Se gli allievi superano i Maestri, il bosco diventa foresta rigogliosa con alberi sempre più alti che si stagliano verso il cielo. Se questo non accade, si avrà un terreno con fili d’erba sempre più corti. Un terreno arido.

 

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