Il quotidiano La Repubblica ha intervistato Piero Angela, in occasione del suo novantesimo compleanno.
Al giornalista che gli chiedeva: «Finita la festa, cosa dirà ai suoi nipoti», il decano dei divulgatori televisivi ha detto:
«Che dovranno comunque studiare molto e seriamente. E cercare l’eccellenza, perché ci sarà sempre bisogno di persone eccellenti. Chi è preparato e creativo può affrontare le novità senza temerle. Credo che questo sia l’insegnamento migliore da lasciare alle nuove generazioni».
Sulla necessità di studiare molto così da impadronirsi delle conoscenze e degli strumenti intellettuali per affrontare un mondo sempre più complesso e mutevole concordo pienamente. Ma non credo che la risposta sia appagante fino in fondo.
Affermare che ci sarà sempre bisogno di persone eccellenti significa accreditare l’idea che l’esistenza di ciascuno (eccellente o no) sia legata al «bisogno» che gli altri hanno di noi. Siamo legittimati ad esistere perché siamo utili (anzi: eccellenti). Come se la vita fosse funzione della legge della domanda e dell’offerta. E di chi non c’è bisogno cosa ne facciamo?
C’è poi un secondo aspetto legato a quella che può essere definita la «retorica dell’eccellenza e della creatività», due parole molto in auge negli ultimi lustri. Ma se l’obiettivo deve essere l’eccellenza vuol dire che il mondo ideale dovrebbe essere fatto da 8 miliardi (o quanti saranno gli umani in futuro) di eccellenze. Non so né se sia possibile, né se sia augurabile. L’eccellenza è un concetto che si giustifica in una logica comparativa: si è eccellenti perché qualcuno non lo è. Ancora di più questo discorso vale per la creatività che esiste se si esce dagli schemi e dall’ordinario. Perché esista il creativo c’è bisogno del non-creativo da cui potersi differenziare. E il non-creativo (o il non-eccellente) non ha nessun valore?
Ma, soprattutto, la risposta di Piero Angela mi ha fatto venire in mente il film «Genio ribelle» (USA 1997, regia di Gus Van Sant). La pellicola narra la storia di un ragazzo prodigio, Will Hunting, che lavora come uomo delle pulizie al MIT di Boston. Ad accorgersi di lui è un professore che comprende di avere di fronte a se un vero genio della matematica. Egli ne prende a cuore le sorti: il giovane, a causa delle violenze subite dal padre adottivo, vive una vita sregolata finendo nelle maglie della giustizia. Ad aiutarlo davvero sarà uno psicologo (interpretato dal compianto Robin Williams). Memorabile è la scena (minuto 1.12.00) che riproduce il litigio tra il professore convinto di dover indirizzare il genio nell’interesse del ragazzo e della stessa umanità e lo psicologo che si preoccupa della felicità del giovane anche se raggiungerla dovesse significare infischiarsene del successo e della medaglia Fields (massimo riconoscimento per i matematici: per un approfondimento in chiave formativa di questa storia può seguire il questo link).
Non si può che desiderare il meglio per i propri nipotini, anche se è difficile sapere davvero cosa sia il meglio. Alle giovani generazioni si può e si deve consigliare di studiare e di essere curiosi come giustamente fa Piero Angela. Ma il possesso degli strumenti intellettuali e la curiosità (ovvero l’attitudine a conoscere) sono necessari per trovare la propria strada nel mondo. Che non coincide necessariamente con l’essere eccellenti e creativi, ma con la ricerca di un pizzico di felicità. E la felicità è sapere chi si è e riuscire ad esserlo.