Da più di 30 anni una domanda abita la memoria collettiva degli italiani: «Ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati?». L’ha posta Antonello Venditti nella canzone dal titolo «Notte prima degli esami», incisa nel 1984.
Non risulta che, fino ad ora, qualcuno si sia preoccupato di fornire una risposta a detto interrogativo. Ma sulla domanda qualche riflessione può essere svolta.
Sintassi e semantica. Per attribuire senso alla domanda, dobbiamo anzitutto conoscere il significato delle parole (segretaria, occhiale, sposare, avvocato e così via) oltre ad avere dimestichezza con le regole che governano le cosiddette “parti del discorso”.
Le cornici implicite. Ma a costruire il senso della frase soccorrono anche alcuni schemi mentali che operano in automatico e ci aiutano ad interpretare la realtà. Per noi italiani lo scenario implicito nella frase è quello di un singolo avvocato che sposa una singola segretaria. Chi fosse immerso in una cultura che ammette la poligamia potrebbe interpretare la frase in questo modo: «Ma come fanno due (o tre, o dieci) segretarie con gli occhiali a farsi sposare da un singolo avvocato?». E varrebbe il reciproco se, magari in un altro contesto, le donne avessero le stesse prerogative poligamiche degli uomini. Un’altra cornice implicita è rappresentata dal modello di matrimonio basato sul legame uomo-donna. Avrebbe potuto essere il “segretario” con gli occhiali a voler essere sposato dall’avvocato.
Visioni del mondo. La domanda, soprattutto, manifesta il modo di vedere le cose. In questo caso, il paradigma accolto è: segretaria che si fa sposare dall’avvocato. Potrebbe essere un segretario (uomo) che si fa sposare dall’avvocata (donna: ce ne sono, per fortuna, sempre di più). O, ancora, potrebbe essere l’avvocato ad anelare di sposare la segretaria. O l’avvocata a farsi parte attiva verso un segretario. Si potrebbe dire che la domanda riproponga uno stereotipo: e certamente lo è il dare per scontato che una segretaria porti gli occhiali (salvo voler credere che quelle senza occhiali non desiderino essere sposate da un avvocato). Ma c’è qualcosa di più. Ad esempio, nella domanda è implicita l’idea che ci sia un soggetto (più debole?) che vede nel matrimonio una occasione di “sistemazione”. Che per arrivare “a fare l’affare” sia necessario possedere determinate abilità (e come si potrebbe, altrimenti, riuscire a farsi sposare?). Tanto altro si può ipotizzare.
Le domande sono uno degli ingredienti principali delle relazioni interpersonali. Possono aprire canali comunicativi, ma possono anche generare insormontabili resistenze e chiusure.
Ogni relazione umana è una negoziazione. Le domande impongono di negoziare dei significati.
Una domanda ci dice tante cose sulla persona che ce la pone: la sua cultura, il suo modo di vedere il mondo, i suoi valori di riferimento. Ci parla delle scale di priorità e anche dei desideri: il modo di porre una domanda in qualche modo orienta la risposta.
La fretta che caratterizza il nostro tempo porta a concentrare l’attenzione sulle risposte. Per questo, tante persone, quando vengono interrogate, si precipitano a rispondere (chissà, forse per chiudere in fretta “la pratica” e passare ad altre risposte). Ma così facendo si corre il rischio di non comprenderle nemmeno le domande ovvero di rinunciare a capire chi è la persona che le pone e perché ce le pone. Con il risultato di dare, per definizione, risposte sbagliate e di costruire relazioni interpersonali finte.