Dialoghi: capire e farsi capire
Quante volte, dialogando con una persona, ci è capitato di pensare: «Non vuole proprio ragionare». E quante volte ci capita di sentire frasi del tipo: «Bisogna ricondurlo alla ragione». Il dibattito pubblico somiglia sempre più ad un dialogo tra sordi.
Molti sono convinti di essere portatori di verità che continuano a ripetere come un disco rotto senza essere assaliti neanche dal più piccolo dei dubbi. E così ci si ritrova ad avere a che fare con persone che credono che la terra sia piatta, o che riconnettono chissà quali calamità alle cosiddette scie chimiche. Inoltre c’è chi lucra su questi atteggiamenti per tornaconto elettorale: si pensi ai leader politici che accreditano l’esistenza delle razze (e la superiorità di alcune su altre) o ai leader che si fanno portavoce delle paure infondate dei no vax; o simili. Tutto questo rischia di minare seriamente il progresso e di rispedirci in epoche buie.
È il caso di precisare che esistono diverse tipologie di individui. Ci sono le persone che non sanno: sono quelli che non hanno i mezzi per capire. Ci sono soggetti che non vogliono capire: ovvero, che posseggono gli strumenti cognitivi per capire ma non li usano. Ed infine ci sono quelli che non possono capire perché costretti a credere a verità preconfezionate (una forma di schiavitù che spesso è anche volontaria: i seguaci indottrinati).
Il problema è: come farsi capire da chi non sa, non può o non vuole capire?
La soluzione non è semplice: perché siamo afflitti da bias cognitivi (ci convinciamo di cose sbagliate); perché siamo vittime degli stereotipi; perché le emozioni hanno un ruolo preponderante nelle nostre decisioni.
Esistono però alcuni ingredienti che possono aiutare a costruire un dialogo più virtuoso.
Innanzitutto è importante capire cosa fonda l’atteggiamento di chi è disposto a credere all’incredibile: la paura? l’ignoranza? Occorre, cioè, cercare di capire il perché di alcuni fenomeni. Le persone ostinate spesso hanno un blocco mentale che li porta a non ascoltare e ad essere refrattarie al cambiamento.
Poi occorre saper trovare il modo giusto per dimostrare alle persone che stanno sbagliando. Non è mai successo che dopo aver dato dello stupido a qualcuno questi risponda: «Sì, è vero, hai ragione». Usare approcci aggressivi non ha altro risultato che polarizzare le posizioni e, quindi, rafforzare le convinzioni sbagliate.
Ancora: non bisogna mai pensare di essere immuni dal problema e di essere nel giusto per definizione. Tutti corriamo il rischio di non capire (o di non farci capire). Non foss’altro perché non siamo tuttologi. Solo gli stupidi non hanno dubbi. E bisogna evitare di essere o di apparire come dei paternalisti.
Probabilmente la tendenza di molte persone a credere a cose incredibili è frutto di una qualche falla nascosta dei processi formativi. Il guaio è che molti politici, ormai lungi dal riconoscersi una qualsiasi funzione pedagogica, approfittano di questi atteggiamenti e addirittura li alimentano per trarne vantaggio. E, per sovramercato, la tecnologia digitale (leggi: i social network) consentono il diffondersi capillare e rapido di teorie e argomenti inverosimili, indebolendo le residue capacità di ragionamento. Ma non bisogna arrendersi: pur in un contesto complesso e difficile occorre trovare la chiave del dialogo. Occorre trovare il modo per capire e per farsi capire.