La versione di Fenoglio, di Gianrico Carofiglio (Einaudi 2019)
Le storie non esistono se non vengono raccontate (p. 22 e 167). Ma alcune storie devono essere costruite per poter essere raccontate: è il caso delle indagini investigative. Sotto questo profilo l’investigatore è un “costruttore di storie”: colui che, immaginando come potrebbero essere andati i fatti, prova a costruire una storia che tenga insieme tutti gli elementi a disposizione (p. 40).
L’ultimo libro di Gianrico Carofiglio “La versione di Fenoglio” (Einaudi) usa la storia dell’incontro tra un maturo investigatore (Pietro Fenoglio) e un ventenne intelligente e sensibile (Giulio), per raccontare delle storie (l’assassinio di un medico, la condanna frettolosa di un innocente, l’agguato teso ad un giovane imprudente) costruite grazie al lavoro investigativo.
Come al solito Carofiglio è bravo nel tratteggiare i suoi personaggi. In una palestra si frequentano (perché entrambi impegnati in attività riabilitative) un carabiniere ormai prossimo alla pensione e un giovane cui mancano due esami per laurearsi in Giurisprudenza (p. 12). Il primo ha appreso tanto dalla vita al punto da aver maturato una discreta dose di saggezza, anche se prova una vergogna adolescenziale nello scoprirsi innamorato della fisioterapista Bruna: la paura del rifiuto non ha età (p. 36). Il secondo non riesce a definirsi (p. 69) e manifesta un disagio esistenziale che si concretizza, ad esempio, nell’essere disattento come strategia di difesa (p. 71). Inutile dire che dal dialogo con Fenoglio questo giovane troverà giovamento, a riprova del paradigma pedagogico e di crescita reciproca che a volte appare nei libri dell’autore (in quello precedente, “Le tre del mattino” il dialogo è tra un padre e un figlio che finalmente si ri-trovano alla vigilia di un esame medico importante per il più giovane tra i due).
Uno dei fili conduttori del volume (i libri di Carofiglio si dipanano sempre su più livelli) è la riflessione sul “metodo investigativo”, ma sarebbe meglio dire sul “metodo della conoscenza”. L’autore evidenzia gli atteggiamenti e le strategie che, di volta in volta, possono agevolare ovvero ostacolare la ricerca della verità. Di seguito un piccolo inventario.
- L’etichettatura (p. 11). Assegniamo un nome alle cose perché questo ci aiuta a semplificare la realtà. Ma così facendo tendiamo a percepire ciò che corrisponde all’etichetta e a non vedere ciò che la contraddice.
- La capacità di osservare per cogliere l’essenza di una situazione (p. 54). Sapendo che l’abilità più grande non sta nel cercare quello che c’è, ma nel trovare quello che non c’è.
- Il ricorso agli schemi, ovvero a quei modelli mentali che ci servono per orientarci nel mondo (p. 64). In un ristorante ci aspettiamo di trovare delle cose (cibo e non medicinali, ad esempio). Ma possono produrre anche una “cecità selettiva”: non vediamo ciò che non rientra nello schema[i].
- Il diverso punto di vista. Per evitare di ignorare dettagli importanti è necessario cambiare punto di vista (p. 67). Un Pubblico Ministero, ad esempio, dovrebbe mettersi nei panni dell’avvocato difensore per verificare la bontà della propria congettura. E viceversa.
- Procedere per aggiustamenti progressivi (85). La ricerca della verità (processuale e scientifica) non è mai lineare. Si procede per prove ed errori.
- Saper porre le domande giuste quando è necessario ascoltare delle storie (38). Questo significa sapersi adattare all’interlocutore (p. 38).
- Saper valutare le testimonianze (p. 126). La nostra mente distorce i ricordi e alcune domande possono addirittura influenzare il ricordo.
- Imparare a riconoscere quando una persona sta mentendo (p. 162).
Mi sembra che tra i meriti dell’autore ci sia quello di riuscire a dare corpo ad un nuovo genere letterario che si potrebbe definire: “il romanzo-manuale” oppure “il saggio-romanzo”.
Esiste una trama narrativa principale: è quella del rapporto tra un vecchio e un giovane, le cui figure, però, coincidono con quelle dell’esperto e del neofita (il laureando) impegnati in una relazione pedagogica di trasmissione di conoscenze. Da notare che l’esperto si preoccupa della vita del suo allievo, non lesinando consigli utili a favorire il suo benessere.
Ci sono poi le trame narrative dei singoli casi (le storie “costruite” e narrate da Fenoglio). Ma queste ultime sono esempi se non “pretesti” per poter spiegare alcune tecniche da seguire nelle investigazioni (poliziesche ma anche scientifiche): trame narrative al servizio della parte manualistica del libro che lo fanno assomigliare ad un saggio, appunto.
Mi sembra una intuizione felice. Ed infatti anche “La versione di Fenoglio” non sfugge alla caratteristica dei libri di Carofiglio: si fa leggere in un fiato.
[i] Ho approfondito questo argomento, con riferimento alla ricerca in diritto comparato, in G. Pascuzzi, Conoscere comparando: tra tassonomie ed errori cognitivi, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2017, 1179.
Recensione pubblicata su l’Adige del 1° maggio 2019
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