Lorenzo è uno studente universitario poco più che ventenne. Qualche giorno fa è venuto a trovarmi per chiedermi la disponibilità a seguirlo nel lavoro di tesi. La conversazione è scivolata sulle aspettative per il dopo. Mi ha detto di essere rimasto impressionato dalla lettura del libro di Alec Ross dal titolo “Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni” (edito in Italia da Feltrinelli). Prima di continuare nel racconto sintetizzo il volume di Ross, che ha svolto la funzione di senior advisor per l’innovazione nello staff di Hillary Clinton quando lei era segretaria di stato (nel primo mandato di Obama).

Il libro segue due grandi filoni: da una parte spiega le innovazioni tecnologiche che ci attendono. Dall’altra preconizza le ricadute sociali ed economiche di questi cambiamenti epocali.

Sotto il primo aspetto parla di un mondo dominato dai robot; illustra come la genomica ci consentirà di vincere il cancro; racconta le magnifiche sorti progressive dei cosiddetti big data. Per quel che riguarda il secondo profilo prefigura le conseguenze di tali innovazioni: la perdita di posti di lavoro (ad esempio, basterà un solo anestesista che controlli ciò che fanno i robot in sala operatoria); la nascita di un mondo programmato (si potranno creare bambini su misura); l’avvento di un possibile far west tecnologico (attacchi informatici e truffe miliardarie online).

Ross dedica molto spazio a descrivere come saranno i mercati futuri, con una convinzione di fondo: molti guadagneranno (anche tanto) ma molti rimarranno senza lavoro con il rischio che crescano le diseguaglianze.

L’ultimo capitolo è dedicato ai consigli per i giovani. Occorrerà: viaggiare molto (“i maggiori guadagni saranno di quelli che hanno la capacità di guardarsi intorno nel mondo e di vedere e cogliere l’occasione nella prossima ondata di mercati ad alta crescita”: p. 205); conoscere le lingue: non solo linguaggio umano ma anche linguaggi di programmazione (anche perché insegnano a capire i problemi e ad immaginare le soluzioni); possedere capacità analitiche (quelle delle vecchie arti liberali).

Tornando alla conversazione con Lorenzo, gli ho detto che anch’io avevo letto il libro e che mi avevano colpito due cose: a) l’insistenza sulla logica vincente-perdente; b) i consigli su cosa fare per trovarsi tra i vincenti.

Lorenzo ha annuito e poi con lucida e spietata semplicità mi ha detto: “Vede professore, io ho capito che viviamo in mondo profondamente ingiusto. E il libro di Alec Ross ci spiega che la rivoluzione tecnologica verosimilmente produrrà maggiori diseguaglianze. Ora io ho davanti a me due strade: posso utilizzare le mie energie per provare a rendere il mondo più giusto; oppure posso impiegare le mie energie e il mio talento per non trovarmi tra i perdenti”.

Gli ho fatto notare che il tema non è nuovo. Per fare un esempio, ho ricordato Giovanni Verga e il “ciclo dei vinti”. Mi ha interrotto per dirmi che gli era ben presente l’introduzione de “I Malavoglia”, la descrizione della condizione universale dell’individuo proteso ad affermare se stesso con la conseguenza di alimentare la “fiumana del progresso” che lascia per strada deboli, fiacchi e vinti. Ma poi ha aggiunto: “Oggi, molto più di ieri, il singolo è inserito in dinamiche alimentate da forze enormi difficili da contrastare; sono consapevole che trovarsi tra i vincenti potrebbe essere causa ed effetto di un incremento delle diseguaglianze. Ma devo trovare una buona ragione per fare scelte che poi mi facciano ritrovare tra i perdenti. Comunque ho tempo per ragionarci su”.

Dopo aver detto questo, si è accorto di essere in ritardo: scusandosi è andato via dandomi appuntamento ad un prossimo incontro.

Dovrò pensare a come ribattere. Nel frattempo mi chiedo se davvero l’unico messaggio che questa società dà ai giovani sia la scelta tra vincere e perdere, se l’unico insegnamento possibile sia spiegare come sedersi dal lato privilegiato del tavolo.

l’Adige, 22 luglio 2019

 

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