La setta degli angeli, di Andrea Camilleri

La setta degli angeli è, a mio avviso, uno dei libri più belli di Camilleri (Sellerio 2011). Prende lo spunto da un episodio realmente accaduto, agli inizi del ‘900, in un paese siciliano: Alia. Divenne un caso nazionale e suscitò lo sdegno di politici e religiosi tra i quali Turati e Sturzo.

Protagonista è l’avvocato Matteo Teresi: mangiapreti, fiero oppositore della mafia (capillarmente infiltrata nella nobiltà locale), difensore dei contadini ovvero dei poveri che nessuno voleva difendere.

Coprotagonista il capitano Eugenio Montagnet, integerrimo carabiniere piemontese.

In paese capitano episodi strani: 6 o 7 giovani donne, non maritate o vedove, alcune minorenni, si ritrovano ad aspettare un figlio. Scattano le indagini (in un clima omertoso ma che Camilleri descrive in chiave di farsa strappando spesso il sorriso). L’Avvocato e il Capitano scoprono che le ragazze sono rimaste vittime di abusi (commessi dalla Setta degli angeli: non dico altro per non rovinare la lettura a chi voglia godersi il libro).

L’avvocato e il Capitano riescono a mettere nell’angolo: preti corrotti, notabili neghittosi, mafiosi intraprendenti.

Sembra l’apoteosi del riscatto. Ma poi arriva ciò che Camilleri chiama riflusso.

Il Capitano (che ha famiglia) viene trasferito in Piemonte: promoveatur ut amoveatur.

E tra i due artefici del successo c’è uno scambio di battute significativo (p. 196):

  • Non l’ha capito lei che è siciliano? Devo dirglielo io che sono piemontese? Oggi ha vinto, la porteranno sugli scudi…..
  • Ha ragione sa? Il presidente del circolo mi ha detto di presentare la domanda di ammissione. Mi ha assicurato che sarà un onore per il circolo avermi come socio. E il Sindaco mi ha proposto al Prefetto per una croce di cavaliere.
  • Lo vede? Ma sono certo che da domani comincerà il periodo più duro per lei. Arriverà il riflusso. E’ inevitabile. Auguri.

E infatti le cose vanno così. I notabili non ammettono l’Avvocato Teresi al circolo. Né il Consiglio comunale vota la proposta di insignirlo del titolo di cavaliere. Al mercato la gente lo scansa. Anche i contadini, minacciati dai mafiosi, lo abbandonano (malgrado fosse il solo che accettava di difendere i loro interessi).

Teresi si sintiva come svacantato di dintra e tanticchia confuso. Il fatto era che lui era abituato alla lotta aperta, allo scontro facci a facci, macari all’insulto, ma non ai colpi dati a tradimento, darrè alle spalli, a taci maci. Gli stavano abbruscianno il terreno intorno” (p. 222).

Teresi viene visto come un corpo estraneo: tutto sommato sarebbe stato meglio non scoperchiare la pentola. L’onore delle ragazze che erano state vittime degli abusi sarebbe stato salvo se nessuno avesse saputo. Sarebbe stato preferibile il quieto vivere. Le cose, con il tempo, sarebbero andate a posto (cioè: dimenticate). Il nipote ventenne di Teresi era da sempre innamorato di una delle ragazze e la sposerebbe volentieri con il benestare del benestante padre di lei ma acerrimo nemico dell’avvocato. Teresi comprende che è la sua presenza ad impedire al nipote di fare ciò che davvero vuole. E capisce che la cosa giusta da fare è partire per l’America. Il suo impegno per cambiare le cose non è servito a nulla: ha solo rischiato di produrre l’infelicità di tanta gente e della persona a lui più vicina.

Camilleri descrive con maestria dei tratti che sono: siciliani, italiani, umani.

Vogliamo davvero il cambiamento? Vogliamo davvero la giustizia quando fare giustizia significa mettere in discussione il potere costituito che, alla fin fine, sta bene a tante persone?

E cosa dire di quelli che lottano per cambiare le cose? Lottano davvero per il meglio? Qual è il loro destino?

Forse la risposta è nel fatto che l’Avvocato Teresi sul comodino, come lettura prima di dormire, ha il libro di Don Chisciotte.

 

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