Da poco è arrivato in libreria un volume curato dalla Fondazione Nilde Iotti dal titolo “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia”. Si tratta della seconda edizione, aggiornata ed ampliata, di un libro che si propone di illustrare le leggi nate su iniziativa delle donne presenti in Parlamento (dalla Costituente in poi) che hanno cambiato la vita delle donne stesse e dell’intero paese.

Il libro conferma la tesi secondo cui il diritto non “ha” una storia, ma che il diritto “è” storia.

Nel leggere, infatti, le schede illustrative dedicate alla singole leggi che, tra il 1950 e il 2018, hanno cambiato il volto del nostro Paese, si intravede la narrazione della storia d’Italia della cui evoluzione quelle leggi sono state al tempo stesso motore ed effetto.

Emergono, così, particolari molto significativi di questo affresco.

Per quel che riguarda il diritto di voto alle donne, ad esempio, se è vero che esso fu introdotto nel 1945 con il decreto luogotenenziale n. 23, è altrettanto vero che tale disposizione si limitò a riconoscere l’elettorato attivo. Il diritto delle donne ad essere elette (elettorato passivo) fu esplicitamente riconosciuto solo in un secondo momento (decreto 74/1946). In ogni caso il diritto di voto non spettava alle prostitute, a testimonianza di taluni pregiudizi all’epoca solidamente instillati.

Bisognerà attendere il 1963 per vedere approvata una legge (la numero 66) che riconoscesse alle donne la possibilità di accedere a “tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura”. Il 1963 è anche l’anno nel quale vennero abolite (almeno formalmente) le cosiddette “clausole di nubilato” nei contratti di lavoro ovvero quelle clausole per effetto delle quali il matrimonio o la maternità potevano legittimamente portare al licenziamento.

Fino alla riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975) in caso di presenza di figli il coniuge superstite non era erede come oggi, ma solo usufruttuario di una quota di eredità.

Del 1977 è la legge sulla parità di trattamento di uomini e donne in materia di lavoro. Del 1978 quella sulla interruzione volontaria della gravidanza.

Per gli anni più recenti, vengono ricordate le leggi che hanno disciplinato problemi avvertiti come socialmente rilevanti: la violenza di genere, le disposizioni anticipate di trattamento, le unioni civili, il cosiddetto “dopo di noi”, il cyberbullismo e tante tante altre. Il libro contiene quasi 100 schede illustrative di altrettante leggi rilevanti curate da molte parlamentari. Ne cito qualcuna in ordine alfabetico: Rosy Bindi, Paola Binetti, Paola Boldrini, Monica Cirinnà, Maria Elena Boschi, Anna Finocchiaro, Rosa Russo Jervolino, Livia Turco.

Accanto alle schede, il libro ospita anche delle schede tematiche (esempio: conciliazione vita lavoro; bonus bebè; welfar aziendale; e molte altre) e degli approfondimenti su argomenti specifici: donne e scuola (di Paola Gaiotti De Biase); donne, lavoro e pensioni (di Maria Luisa Gnecchi); politiche di genere (di Donata Gottardi); immigrazione e integrazione (di Vaifra e Palanca); e alto ancora. Il volume si chiude con i dati relativi alla presenza delle donne nelle diverse legislature e nei diversi governi.

La frase che dà il titolo al libro è polisemica: può voler dire che ci sono leggi (volute dalle donne) che hanno cambiato l’Italia; e può voler dire che ci sono donne che (attraverso alcune leggi) hanno cambiato l’Italia. In realtà sono vere entrambe le cose. E la legge, in entrambe le accezioni, si rivela uno strumento che per un verso riconosce diritti e per altro verso fa prendere forma alle “politiche” necessarie ad attuare quei diritti (in una logica di “problem solving”).

Il libro è interessante anche perché dimostra quanto importante sia non dimenticare mai di misurare la distanza tra ciò che eravamo e ciò che siamo. Il rischio è quello di smarrire la tensione verso il cambiamento positivo (dando per scontato che ciò che si è ottenuto sia garantito per sempre) ovvero accettare l’idea che qualunque cambiamento vada bene: anche il tornare indietro, semplicemente perché si è perso il ricordo dell’arretratezza di ieri.

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