Insieme a libertà e fratellanza, l’uguaglianza è stato il terzo “valore” alla base della rivoluzione francese. L’uguaglianza è un paradigma che ha due precise ricadute sul piano giuridico: da una parte il principio secondo cui la legge è uguale per tutti, dall’altro la necessità che tutti i rapporti formalmente identici vengano disciplinati dal diritto nella stessa maniera. Per i codici dell’800 l’alienazione ad un amico di un orologio di scarso valore e l’acquisizione di una grande società appartenevano entrambe al fenomeno “vendita” e quindi dovevano essere trattate allo stesso modo. Questo tipo di diritto, che qualcuno ha battezzato “diritto romano-borghese” ha consentito la nascita e lo sviluppo della cosiddetta rivoluzione industriale.

Ma sin da subito ci si rese conto che l’affermazione di un astratto principio di uguaglianza formale portava ad ingiustizie sostanziali. Perché non tutte le persone hanno uguale potere contrattuale. Quando noi, ad esempio, sottoscriviamo una polizza assicurativa non abbiamo praticamente nessuna possibilità di discutere le clausole che vengono sostanzialmente decise solo dalla compagnia assicuratrice. Ma anche tra imprese possono esistere disparità di potere. Si pensi all’azienda che produce gli specchietti retrovisori per FCA o per Mercedes. Tali aziende di fatto hanno solo quei clienti: e se quelle grandi case automobilistiche annullano una commessa oppure pagano in ritardo ecco che l’impresa dell’indotto viene messa in ginocchio.

Per far fronte a queste situazioni percepite come “ingiuste”, nel corso del tempo sono state emanate norme che hanno limitato il principio di uguaglianza formale per introdurre discipline più favorevoli ai soggetti contrattualmente più deboli. Tutta la legislazione a tutela del consumatore si spiega in quest’ottica. Se oggi acquistiamo una bene on-line abbiamo il diritto di restituirlo entro un certo tempo se non ci piace, senza dare giustificazioni. È una specifica tutela riconosciuta al consumatore che semplicemente era sconosciuta ai codici di impronta ottocentesca. Per quel che riguarda l’esempio relativo alle imprese, la legge oggi contrasta il cosiddetto “abuso di dipendenza economica”: in particolare vengono colpite le condizioni ingiustificatamente gravose cui è sottoposta un’impresa che si trova in uno stato di dipendenza economica rispetto ad una committente, laddove questa imponga condizioni eccessivamente squilibrate a proprio vantaggio.

Anche nel mondo del lavoro si possono trovare ricadute di quanto stiamo dicendo. In base al principio ricordato, agli albori della rivoluzione industriale gli operai potevano liberamente vendere la propria forza lavoro (anch’essi erano formalmente liberi e eguali). Ma la disparità di potere portava ad avere turni di lavoro massacranti senza contare la mancanza di ferie, di assistenza sanitaria e simili. Con il tempo (grazie alle lotte sindacali e al pensiero delle persone più illuminate) ci sono state delle innovazioni che hanno provato a porre rimedio a questo modello deregolato che si caratterizzava anche per l’esistenza di ingiustizie nell’ingiustizia: si pensi allo sfruttamento del lavoro minorile o alla condizione delle donne. Bisognerà attendere il 1963 per assistere all’abolizione (almeno formale, perché nei fatti dei problemi esistono ancora) delle cosiddette “clausole di nubilato” per effetto delle quali il matrimonio o la maternità potevano legittimamente portare al licenziamento. E solo del 1977 è la legge sulla parità di trattamento di uomini e donne in materia di lavoro (una parità raggiunta solo sulla carta).

Si potrebbe continuare snocciolando altri esempi. Ma quanto detto è sufficiente a trarre qualche conclusione.

Viviamo in una società sempre più complessa: si pensi all’avvento della cosiddetta “globalizzazione” che pare avere spostato dai governi al mercato il vero potere decisionale.

Il mercato è il luogo nel quale, per definizione, i più forti (che non sono necessariamente i migliori e i più meritevoli) prevalgono, diventando così anche il luogo nel quale un valore come quello della uguaglianza formale finisce per dare origine a palesi ingiustizie nella misura in cui il più debole soccombe al di là di quello che è moralmente accettabile.

Rispetto al diritto, occorre capire se esso deve essere meccanismo per legittimare il dominio del più forte, ovvero congegno per provare a correggere le storture del mercato.

A compiere la scelta di cosa debba perseguire il diritto, di quali interessi debba tutelare, devono pensarci i partiti perché il diritto altro non è che lo strumento per attuare delle politiche.

Ma ci sono ancora partiti che si preoccupano dei più deboli?

l’Adige 16 settembre 2019

 

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