Sempre più liberi sempre più soli: da dove ripartire?

Domenica 27 ottobre, al Palalevico, sono stato invitato a parlare sul tema “Sempre più liberi sempre più soli: da dove ripartire?”. L’altro relatore è stato il Prof. Andrea Simoncini, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Firenze (a sinistra, nella foto). Organizzatore/moderatore il comune amico Walter Viola (al centro, nella foto).

Di seguito una sintesi delle cose che ho detto.

Cos’è la solitudine.

Ho innanzitutto tracciato una distinzione nel concetto di solitudine (ripresa da un mio editoriale di questa estate).

A) C’è la situazione oggettiva di chi (a volte per scelta) ha pochi contatti sociali: l’isolamento sociale. Proprio qualche giorno fa l’Adige ha pubblicato i dati relativi al fenomeno. In Italia circa il 7% delle persone con almeno 6 anni dichiara di non avere amici o di non frequentarne. In Trentino la percentuale è del 6,5%, (per quanto negli ultimi anni l’indicatore segnali una crescita più accentuata che nella media nazionale). Il valore più basso si trova in Basilicata, dove meno del 4% della popolazione dichiara di non vedere o di non avere amici, mentre l’estremo opposto è la Puglia con il 9%.

B) C’è, poi la sensazione di solitudine: lo stato d’animo soggettivo che si concretezza nella percezione di una “mancanza”.

Si può essere isolati senza sentirsi soli.

E ci si può sentire soli pur coltivando tantissime relazioni sociali.

La solitudine innesca problemi sociali: alcolismo, depressione, ansia, malattie cardiovascolari, e così via (sempre l’Adige ne ha parlato proprio domenica).

 

Le cause della solitudine.

Difficile dare risposte esaustive. Io ho individuato due possibili ragioni principali.

A) Il trionfo dell’individualismo.

C’era una volta… l’idea che l’individuo non poteva essere felice e «salvarsi» se non erano felici e salvi anche gli altri.

Questa idea era comune alla tre grandi culture/narrazioni del ‘900. Sintetizzo.

a) Giorgio Gaber in uno spettacolo del 1994 intitolato: «qualcuno era comunista», diceva: “Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice/Solo se lo erano anche gli altri

b) La seconda “cultura” è quella propria del messaggio cristiano. Gesù sacrifica se stesso per dare una speranza di salvezza a tutti. Messaggio universalistico della Chiesa: tutti possono e devono godere del messaggio/sacrificio di Cristo.

c) La rivoluzione francese/borghese/liberale si basa sul principio “Libertà/fraternità/uguaglianza”. Nella rivoluzione borghese c era l’idea che l’altro avesse gli stessi miei diritti.

Liberalismo, cattolicesimo, socialcomunismo sono 3 grandi narrazioni. 3 grandi culture politiche. Sono le culture politiche che hanno dato vita al nostro Patto costituzionale.

Tutte e tre, da diversi punti di vista, pongono in esponente: Il “Tutti”. Non ci si salva da soli.

Ma cosa è avvenuto?

Fine delle grandi narrazioni. Fine delle ideologie.

Trionfo di una sola ideologia: (non liberalismo) ma individualismo e competizione sfrenata.

Disinteresse per gli altri. L’importante è salvarsi da soli. Meglio se a danno degli altri.

Il trionfo dell’individualismo. Tutto è merce e tutto è mercato.

Nella nostra epoca tutto (compreso il lavoro) è merce da offrire su un qualche mercato.

Quest’ultimo, a propria volta, si fonda sulla concorrenza.

Competere: cum petere (chiedere insieme).

Ma la competizione sfrenata porta a vedere nell’altro non un alleato, bensì un “nemico” da combattere, qualcuno da cui guardarsi e dal quale mai può venire aiuto o solidarietà.

La competizione tra gli ultimi.

Tutto questo, nella misura in cui frustra il bisogno di fiducia, alimenta il senso di solitudine.

 

B) Mutamento antropologico.

Bisogna considerare, come secondo fattore, il “mutamento antropologico”.

Sembra questo il punto di partenza e, al tempo stesso, l’esito di tante analisi sull’età contemporanea che spiegano come l’individualismo (e il connesso narcisismo) abbia(no) soppiantato l’idea di comunità e l’agire per il perseguimento del bene comune.

Il modello educativo familiare ed il contesto sociale devono favorire la realizzazione del Sé.

Ma se il progetto di crescita e socializzazione è incentrato sulla realizzazione del Sé, gli ideali che si formano progressivamente non possono essere relativi al culto dell’altro e dei suoi valori bensì riguarderanno il successo, la bellezza, l’ammirazione.

Ogni persona è alla disperata ricerca dell’affermazione del Sé.

L’altro e la comunità degli altri semplicemente non esistono nell’orizzonte del singolo alla ricerca dell’autoaffermazione se non come strumento per raggiungerla.

Questo innesca dinamiche molto competitive che sono le uniche in grado di assicurare il raggiungimento degli ideali di ricchezza, bellezza, ascesa sociale che solo contano. (Per un approfondimento si veda il libro di Pietropolli).

Il tutto, però, vieneconsumato in una solitudine cosmica.

 

Che fare?

La domanda posta dagli organizzatori è: che fare?

Recuperare le grandi narrazioni

Riporre al centro la persona

Rivedere il modello educativo. Ai ragazzi dobbiamo insegnare questo modello, ovvero come sconfiggere gli altri e affermare se stessi per trovarsi dalla parte dei vincenti? O dobbiamo spiegare loro che altri modelli sono possibili (rinvio ad un altro mio editoriale).

Forse dobbiamo solo riscoprire il senso delle cose che facciamo. Delle cose in cui crediamo.

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