1. Di seguito le impressioni di lettura di un libro che ho letto in questi giorni.

Ci sono arrivato per una “strada tortuosa”. Una ricerca tortuosa.

Io penso che le democrazie occidentali e, più in generale, le nostre società abbiano smarrito il loro fondamento morale, la consapevolezza delle ragioni dello stare insieme.

Non parlo della corruzione dilagante, ovvero del fatto che siamo guidati da “uomini piccoli” e meschini, ovvero da uomini che non testimoniano con il comportamento i valori in cui credono (uomini che, anzi, fanno l’esatto contrario di quello che i valori in cui dicono di credere imporrebbero di fare).

Parlo del fatto che anche i “leader per bene” discutono soprattutto di procedure, di riforme istituzionali, di governabilità. Parlo del fatto che tanti siano ormai convinti  che sono i numeri (le maggioranze parlamentari) a stabilire ciò che è giusto e ciò che è vero.

Le democrazie sono in crisi perché, ad esempio, non ci si indigna se il lavoro viene retribuito sempre meno dimenticando che l’economia deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa (una legge che permette che il lavoro venga pagato sempre meno a parità di prestazioni è semplicemente immorale e non dovrebbe essere ammessa).

C’è un silenzio assordante di autorità morali laiche. Autorità che ricordino che se le democrazia si riduce al rispetto di procedure non può che produrre disaffezione e, quindi, condannarsi a morte certa.

Occorre riscoprire alcune radici. Il libro che ho letto si muove nella prospettiva giusta.

 

 

2. La nostra società sembra aver rimosso l’esistenza dei deboli: i meno abbienti, i poco istruiti, quelli scarsamente attrezzati a fronteggiare i rapidi mutamenti imposti dalla evoluzione tecnologica e dalla competizione economica globale.

Insieme ai moderni “vinti”, sembrano scomparse le grandi “questioni sociali”, nel senso che sempre più di rado se ne sente parlare.

Il tema, però, non è scomparso dai radar della riflessione cattolica: nel corso del tempo quest’ultima ha prodotto la cosiddetta “Dottrina sociale della Chiesa” che gode di rinnovato interesse anche per la propria capacità di provare a dare risposte alle evoluzioni dei grandi problemi della nostra società.

La locuzione “dottrina sociale” risale a Pio XI[1] e designa il “corpus” dottrinale riguardante temi di rilevanza sociale che, a partire dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII, si è sviluppato nella Chiesa[2].

Ma questa definizione delle e sulle origini coglie solo in minima parte i contenuti e lo spessore delle riflessioni che in quella locuzione confluiscono e che possono essere compresi solo indagando, in chiave diacronica, i documenti attraverso i quali la dottrina sociale della Chiesa ha preso corpo così da estrarre dagli stessi il distillato di principi che possono fornire un quadro di riferimento tanto per i credenti quanto, più in generale, per gli uomini di buona volontà[3].

Per accostarsi in maniera compiuta e approfondita al tema è certamente utile la lettura del libro di Bartolomeo Sorge dal titolo “Introduzione alla Dottrina sociale della Chiesa”. Il volume fu pubblicato per la prima volta, da Editrice Queriniana, nel 1996, con il titolo “Per una civiltà dell’amore”. Il titolo attuale venne adottato con la seconda edizione del 2006. La terza edizione, che qui si commenta, è del 2016.

Nella prima parte del volume, Sorge ricostruisce le tappe del “Discorso sociale della Chiesa”[4].

A) Nel 1891 (Leone XIII, enciclica Rerum novarum) la “questione sociale”, esplosa con la rivoluzione industriale, coincide con la “questione operaia” (p. 32). Si ribadiscono alcuni principi “dell’ideologia cattolica”: 1) la dignità della persona umana e del lavoro dell’uomo (“questi sono i doveri dei capitalisti e dei padroni: non tenere gli operai schiavi”; Rerum novarum, n. 16); 2) l’economia ha una sua dimensione etica perché orientata al servizio dell’uomo; 3) necessità che lo Stato intervenga nella questione sociale ed economica aiutando i più bisognosi, perché compito dello Stato è provvedere al bene comune: Rerum novarum, n. 26 (p. 37)[5].

B) Nella seconda fase (1931-1958) la questione sociale si trasforma nell’aperto scontro tra sistemi economici opposti (comunismo e capitalismo) (p. 59). La Quadragesimo Anno affronta la questione di un terzo modello che traduca i principi del magistero sociale in una forma di organizzazione cristiana della società. Pio XI propone, cioè, di trovare nella “civiltà cristiana” una terza via, un modello alternativo sia a quello del socialismo sia a quello neoliberale[6] (pp. 48-49).

C) Nella terza fase (1958-1978) il discorso sociale della Chiesa si evolve alla luce di tre elementi: la crisi delle ideologie, i processi di mondializzazione (con il connesso dominio della tecnica)[7], le acquisizioni dottrinali e pastorali del Concilio Vaticano II[8] (p. 60). La questione asociale assume le dimensioni quantitative del mondo. E’ in discussione l’equilibrio stesso dell’umanità, tra il Nord ricco e il Sud povero. Se si vuole la sopravvivenza dell’umanità, si impone un nuovo ordine mondiale, economico, giuridico e politico.

D) La quarta fase coincide con il pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005). La questione sociale è divenuta soprattutto un problema di qualità di vita. Gli squilibri e i problemi si sono talmente ampliati da superare i confini materiali del mondo, fino ad interessare la vita umana in se stessa e nei suoi valori fondamentali. Oggi la questione sociale è questione di pace o di distruzione globale, di qualità di vita o di morte dell’uomo e del suo habitat (p. 77). Il discorso sociale della Chiesa può essere compreso e condiviso da credenti e non credenti, all’Est e all’Ovest, nei Paesi in via di sviluppo e in quelli sviluppati e offre un contributo prezioso alla realizzazione di un umanesimo nuovo (p. 78). La preoccupazione prevalente del discorso sociale della Chiesa è quella di restituire il loro significato ai valori in crisi (la vita, la famiglia, il lavoro), di dare un’anima etica alla nuova società, di infondere la speranza di un futuro migliore ai nuovi poveri della società del benessere[9] (p. 78).

E) La svolta di Benedetto XVI. La questione sociale coincide con la questione antropologica (p. 96) Il vuoto lasciato dalla crisi delle ideologie è stato riempito da una ideologia “libertaria” e “tecnocratica” diventata il “pensiero unico” del mondo globalizzato. Benedetto XVI scrive l’enciclica Caritas in Veritate (2009) per affrontare il problema di fondo del 21° secolo: elaborare un nuovo modello di sviluppo mondiale fondato su un umanesimo nuovo che porti i popoli della Terra a vivere uniti nel rispetto delle diversità. L’enciclica, da una parte critica l’ideologia tecnocratica dominante, dall’altro richiama i principi di un umanesimo nuovo (p. 95). Tali principi sono: la libertà responsabile sul piano etico (p. 97); la fraternità sul piano socio-culturale (p. 100); la reciprocità sul piano politico (p. 103). Nel ricordare la grande attenzione che Papa Ratzinger ha posto al rapporto tra ragione e fede, Sorge sottolinea (p. 105) che la religione, tradotta politicamente in linguaggio laico, può aiutare la società europea a conservare le proprie risorse morali: occorre aiutare la democrazia a ritrovare la sua fondazione etica.

F) Papa Francesco e l’enciclica Laudato sì (2015). Con Bergoglio la questione sociale si focalizza e si amplia: centrale è il tema della crisi ecologica. La proposta (messaggio centrale della Laudato sì) è una “ecologia integrale”. Scrive Francesco: “Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente. C’è una interazione tra gli ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostra ancora una volta che «il tutto è superiore alla parte» (Laudato sì, n. 141); È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (Laudato sì, n. 139) (p. 461).

 

Tirando le fila (Sorge lo fa nella seconda parte del volume) la proposta sociale della Chiesa offre un fondamento morale condivisibile da tutti gli uomini di buona volontà su cui è possibile costruire insieme un nuovo ordine sociale più umano e fraterno. Una nuova civiltà può essere costruita fondandola su valori come la pace, la solidarietà, la giustizia e la libertà (p. 112). Se ben si guarda il rispetto della persona, la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza dei diritti, la giustizia e la pace sono anche i principi laici su cui si fonda o (dovrebbe fondarsi) la democrazia.

Non è un caso che Sorge, come si legge nella Prefazione del 1996, è stato guidato dal desiderio di armonizzare pensiero e azione, ovvero di formare moralmente e professionalmente una nuova classe di politici (in tale ottica si comprendono le parti terza “la presenza sociale della Chiesa” e quarta “Dibattiti di attualità” del libro).

Il libro è interessante anche per questa prospettiva.

 

3. In fin dei conti la democrazia è solo un metodo per prendere decisioni. Di per sé non assicura l’edificazione di una società giusta. Se in un gruppo di 100 persone, 60 individui si mettono d’accordo per vessare gli altri 40 ecco che avremmo decisioni formalmente legittime (perché rispecchiano la volontà della maggioranza) ma sostanzialmente ingiuste.

Se oggi la democrazia è in affanno lo si deve anche al fatto che troppo spesso l’attenzione è rivolta ad affinare il metodo (si pensi alle tante riforme istituzionali e costituzionali invocate o tentate). E non meno pericoloso è il diffondersi della convinzione che siano i numeri (la volontà del legislatore come legittimata dalla maggioranza) a stabilire il giusto e il vero.

Ciò che fa la differenza sono i valori, ovvero quei principi che dovrebbero orientare i comportamenti delle persone e, quindi, dare fondamento alla stessa democrazia.

Ma in quali valori credono oggi le democrazie occidentali?

La morte delle ideologie, l’eclissi della cultura laica, la resa alla globalizzazione che vede nella legge dei mercati la misura di tutte le cose sono fenomeni che hanno reso sempre più impalpabili i valori fondanti delle democrazie. E se il principio di laicità comporta l’autonomia dalla sfera religiosa esso non significa anche autonomia dalla sfera morale per consegnarsi alla amoralità più assoluta (perché questo è il volere della maggioranza).

Gli uomini di buona volontà devono provare a restituire fondamento morale alle democrazie, devono prodigarsi per far capire che ogni azione deve essere guidata da una visione del mondo e non dalla sterile cultura del fare.

Occorre recuperare e mettere in pratica i valori in cui diciamo di voler credere. In tale prospettiva e nel silenzio preoccupante e assordante di altre autorità morali, la dottrina sociale della Chiesa gioca un ruolo importante. Il libro di Sorge aiuta a ricostruire un filo rosso che nel ricordarci la strada percorsa ci lascia intravedere un futuro ambizioso ma possibile.

 

 

[1] Lettera enciclica Quadragesimo anno, 1931, n. 2: “Ma l’enciclica Rerum novarum, rispetto alle altre, ebbe questo di proprio, che allora appunto quando ciò era sommamente opportuno e anzi necessario, diede a tutto il genere umano norme sicurissime, per la debita soluzione degli ardui problemi della società umana, che vanno sotto il nome di questione sociale”.

Vedi anche la Lettera enciclica Mater e magistra di Giovanni XXIII, NN 203 e ss.

[2] Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, 2004, n. 87.

[3] Il primo documento ufficiale della Chiesa indirizzato (oltre che ai “fedeli di tutti il mondo”) anche “agli uomini di buona volontà” è la Lettera enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII. Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, cit., n. 95.

[4] Di seguito i documenti che hanno dato fondamento, nel tempo, alla “Dottrina sociale della Chiesa”:

Rerum novarum (1891); enciclica di Leone XIII.

Quadragesimo Anno (1931); enciclica di Pio XI.

Radiomessaggio di Pentecoste (1941); Pio XII nel cinquantesimo anniversario della Rerum novarum.

Mater et Magistra (1961); enciclica di Giovanni XXIII.

Pacem in Terris (1963); enciclica di Giovanni XXIII.

Gaudium et Spes (1965); costituzione pastorale di Paolo VI (Concilio Vaticano II).

Populorum Progressio (1967); enciclica di Paolo VI.

Octogesima Adveniens (1971); lettera apostolica di Paolo VI nell’ottantesimo anniversario della Rerum novarum.

Laborem Exercens (1981); enciclica di Giovanni Paolo II.

Sollecitudo Rei Socialis (1987); enciclica di Giovanni Paolo II.

Centesimus Annus (1991); ); enciclica di Giovanni Paolo II.

Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004); a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

Caritas in Veritate (2009); enciclica di Benedetto XVI.

Laudato sì (2015); enciclica di Francesco I.

[5] Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004); a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

88 Gli eventi di natura economica che si produssero nel XIX secolo ebbero conseguenze sociali, politiche e culturali dirompenti. Gli avvenimenti collegati alla rivoluzione industriale sovvertirono secolari assetti sociali, sollevando gravi problemi di giustizia e ponendo la prima grande questione sociale, la questione operaia, suscitata dal conflitto tra capitale e lavoro. In tale quadro la Chiesa avvertì la necessità di dover intervenire in modo nuovo: le « res novae », costituite da quegli eventi, rappresentavano una sfida al suo insegnamento e motivavano una speciale sollecitudine pastorale verso larghe masse di uomini e di donne. Occorreva un rinnovato discernimento della situazione, in grado di delineare soluzioni appropriate a problemi inconsueti e inesplorati.

89 In risposta alla prima grande questione sociale, Leone XIII promulga la prima enciclica sociale, la «Rerum novarum». Essa prende in esame la condizione dei lavoratori salariati, particolarmente penosa per gli operai delle industrie, afflitti da un’indegna miseria. La questione operaia viene trattata secondo la sua reale ampiezza: essa è esplorata in tutte le sue articolazioni sociali e politiche, per essere adeguatamente valutata alla luce dei principi dottrinali fondati sulla Rivelazione, sulla legge e sulla morale naturale.

La « Rerum novarum » elenca gli errori che provocano il male sociale, esclude il socialismo come rimedio ed espone, precisandola e attualizzandola, « la dottrina cattolica sul lavoro, sul diritto di proprietà, sul principio di collaborazione contrapposto alla lotta di classe come mezzo fondamentale per il cambiamento sociale, sul diritto dei deboli, sulla dignità dei poveri e sugli obblighi dei ricchi, sul perfezionamento della giustizia mediante la carità, sul diritto ad avere associazioni professionali ».

La « Rerum novarum » è diventata il documento ispirativo e di riferimento dell’attività cristiana in campo sociale.145 Il tema centrale dell’Enciclica è quello dell’instaurazione di un ordine sociale giusto, in vista del quale è doveroso individuare dei criteri di giudizio che aiutino a valutare gli ordinamenti socio-politici esistenti e a prospettare linee d’azione per una loro opportuna trasformazione.

90 La « Rerum novarum » ha affrontato la questione operaia con un metodo che diventerà « un paradigma permanente » per gli sviluppi successivi della dottrina sociale. I principi affermati da Leone XIII saranno ripresi e approfonditi dalle encicliche sociali successive. Tutta la dottrina sociale potrebbe essere intesa come un’attualizzazione, un approfondimento ed un’espansione del nucleo originario di principi esposti nella « Rerum novarum ». Con questo testo, coraggioso e lungimirante, Leone XIII « conferì alla Chiesa quasi uno “statuto di cittadinanza” nelle mutevoli realtà della vita pubblica » e « scrisse una parola decisiva », che divenne « un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa », affermando che i gravi problemi sociali « potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione tra tutte le forze » e aggiungendo anche: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai mancare in nessun modo l’opera sua ».

[6] Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004); a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

91 All’inizio degli anni Trenta, a ridosso della grave crisi economica del 1929, Pio XI pubblica l’enciclica « Quadragesimo anno », commemorativa dei quarant’anni della « Rerum novarum ». Il Papa rilegge il passato alla luce di una situazione economico-sociale in cui all’industrializzazione si era aggiunta l’espansione del potere dei gruppi finanziari, in ambito nazionale ed internazionale. Era il periodo post-bellico, in cui si andavano affermando in Europa i regimi totalitari, mentre si inaspriva la lotta di classe. L’Enciclica ammonisce sul mancato rispetto della libertà di associazione e ribadisce i principi di solidarietà e di collaborazione per superare le antinomie sociali. I rapporti tra capitale e lavoro devono essere all’insegna della cooperazione.

La « Quadragesimo anno » ribadisce il principio che il salario deve essere proporzionato non solo alle necessità del lavoratore, ma anche a quelle della sua famiglia. Lo Stato, nei rapporti col settore privato, deve applicare il principio di sussidiarietà, principio che diverrà un elemento permanente della dottrina sociale. L’Enciclica rifiuta il liberalismo inteso come illimitata concorrenza delle forze economiche, ma riconferma il valore della proprietà privata, richiamandone la funzione sociale. In una società da ricostruire fin dalle basi economiche, che diventa essa stessa e tutta intera « la questione » da affrontare, « Pio XI sentì il dovere e la responsabilità di promuovere una maggiore conoscenza, una più esatta interpretazione e una urgente applicazione della legge morale regolativa dei rapporti umani…, allo scopo di superare il conflitto delle classi e di arrivare a un nuovo ordine sociale basato sulla giustizia e sulla carità ».

92 Pio XI non mancò di far sentire la sua voce contro i regimi totalitari che durante il suo pontificato si affermarono in Europa. Già il 29 giugno 1931 aveva protestato contro le sopraffazioni del regime fascista in Italia con l’enciclica « Non abbiamo bisogno ». Nel 1937 pubblicò l’enciclica « Mit brennender Sorge », sulla situazione della Chiesa Cattolica nel Reich germanico. Il testo della « Mit brennender Sorge » fu letto dal pulpito di tutte le chiese cattoliche in Germania, dopo essere stato diffuso nella massima segretezza. L’Enciclica giungeva dopo anni di soprusi e di violenze ed era stata espressamente richiesta a Pio XI dai Vescovi tedeschi, in seguito alle misure sempre più coercitive e repressive adottate dal Reich nel 1936, in particolare nei confronti dei giovani, obbligati ad iscriversi alla « Gioventù hitleriana ». Il Papa si rivolge ai sacerdoti e ai religiosi, ai fedeli laici, per incoraggiarli e chiamarli alla resistenza, fino a quando una vera pace tra la Chiesa e lo Stato non sia ristabilita. Nel 1938, davanti al diffondersi dell’antisemitismo, Pio XI affermò: « Siamo spiritualmente semiti ».

Con l’enciclica « Divini Redemptoris », sul comunismo ateo e sulla dottrina sociale cristiana, Pio XI criticò in modo sistematico il comunismo, definito « intrinsecamente perverso », e indicò come mezzi principali per porre rimedio ai mali da esso prodotti, il rinnovamento della vita cristiana, l’esercizio della carità evangelica, l’adempimento dei doveri di giustizia a livello interpersonale e sociale in ordine al bene comune, l’istituzionalizzazione di corpi professionali e inter-professionali.

[7] Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004); a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

94 Gli anni Sessanta aprono orizzonti promettenti: la ripresa dopo le devastazioni della guerra, l’inizio della decolonizzazione, i primi timidi segnali di un disgelo nei rapporti tra i due blocchi, americano e sovietico. In questo clima, il beato Giovanni XXIII legge in profondità i « segni dei tempi ». La questione sociale si sta universalizzando e coinvolge tutti i Paesi: accanto alla questione operaia e alla rivoluzione industriale, si delineano i problemi dell’agricoltura, delle aree in via di sviluppo, dell’incremento demografico e quelli relativi alla necessità di una cooperazione economica mondiale. Le disuguaglianze, in precedenza avvertite all’interno delle Nazioni, appaiono a livello internazionale e fanno emergere con sempre maggiore chiarezza la situazione drammatica in cui si trova il Terzo Mondo.

Giovanni XXIII, nell’enciclica « Mater et magistra », « mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana ». Le parole-chiave dell’Enciclica sono comunità e socializzazione: la Chiesa è chiamata, nella verità, nella giustizia e nell’amore, a collaborare con tutti gli uomini per costruire un’autentica comunione. Per tale via la crescita economica non si limiterà a soddisfare i bisogni degli uomini, ma potrà promuovere anche la loro dignità.

95 Con l’enciclica « Pacem in terris », Giovanni XXIII mette in evidenza il tema della pace, in un’epoca segnata dalla proliferazione nucleare. La « Pacem in terris » contiene, inoltre, una prima approfondita riflessione della Chiesa sui diritti; è l’Enciclica della pace e della dignità umana. Essa prosegue e completa il discorso della « Mater et magistra » e, nella direzione indicata da Leone XIII, sottolinea l’importanza della collaborazione tra tutti: è la prima volta che un documento della Chiesa viene indirizzato anche « a tutti gli uomini di buona volontà », che vengono chiamati a un « compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà ». La « Pacem in terris » si sofferma sui pubblici poteri della comunità mondiale, chiamati ad « affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale ». Nel decimo anniversario della « Pacem in terris », il Cardinale Maurice Roy, Presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace, inviò a Paolo VI una Lettera unitamente a un Documento con una serie di riflessioni sulla capacità dell’insegnamento dell’Enciclica giovannea di illuminare i problemi nuovi connessi con la promozione della pace.

[8] Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004); a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

96 La Costituzione pastorale « Gaudium et spes », del Concilio Vaticano II, costituisce una significativa risposta della Chiesa alle attese del mondo contemporaneo. In tale Costituzione, « in sintonia con il rinnovamento ecclesiologico, si riflette una nuova concezione di essere comunità dei credenti e popolo di Dio. Essa ha suscitato quindi nuovo interesse per la dottrina contenuta nei documenti precedenti circa la testimonianza e la vita dei cristiani, come vie autentiche per rendere visibile la presenza di Dio nel mondo ». La « Gaudium et spes » traccia il volto di una Chiesa « intimamente solidale con il genere umano e la sua storia », che cammina con tutta l’umanità ed è soggetta insieme al mondo alla medesima sorte terrena, ma che al tempo stesso è « come fermento e quasi anima della società umana, per rinnovarla in Cristo e trasformarla in famiglia di Dio ».

La « Gaudium et spes » affronta organicamente i temi della cultura, della vita economico-sociale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e della comunità dei popoli, alla luce della visione antropologica cristiana e della missione della Chiesa. Tutto è considerato a partire dalla persona e in direzione della persona: « la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa ». La società, le sue strutture e il suo sviluppo devono essere finalizzati al « perfezionamento della persona umana ». Per la prima volta il Magistero della Chiesa, al suo più alto livello, si esprime in modo così ampio sui diversi aspetti temporali della vita cristiana: « Si deve riconoscere che l’attenzione data dalla Costituzione ai cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali e religiosi ha stimolato sempre più… la preoccupazione pastorale della Chiesa per i problemi degli uomini e il dialogo con il mondo».

[9] Dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004); a cura del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.

101 Novant’anni dopo la « Rerum novarum », Giovanni Paolo II dedica l’enciclica « Laborem exercens » al lavoro, bene fondamentale per la persona, fattore primario dell’attività economica e chiave di tutta la questione sociale. La « Laborem exercens » delinea una spiritualità e un’etica del lavoro, nel contesto di una profonda riflessione teologica e filosofica. Il lavoro non dev’essere inteso soltanto in senso oggettivo e materiale, ma bisogna tenere in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona.

102 Con l’enciclica « Sollicitudo rei socialis », Giovanni Paolo II commemora il ventesimo anniversario della « Populorum progressio » e affronta nuovamente il tema dello sviluppo, lungo due direttrici: « da una parte, la situazione drammatica del mondo contemporaneo, sotto il profilo dello sviluppo mancato del Terzo Mondo, e dall’altra, il senso, le condizioni e le esigenze di uno sviluppo degno dell’uomo ». L’Enciclica introduce la differenza tra progresso e sviluppo e afferma che « il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell’“essere” dell’uomo. In questo modo, s’intende delineare con chiarezza la natura morale del vero sviluppo ». Giovanni Paolo II, evocando il motto del pontificato di Pio XII, « Opus iustitiae pax », la pace come frutto della giustizia, commenta: « Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cfr. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà ».

103 Nel centesimo anniversario della « Rerum novarum », Giovanni Paolo II promulga la sua terza enciclica sociale, la « Centesimus annus », da cui emerge la continuità dottrinale di cent’anni di Magistero sociale della Chiesa. Riprendendo uno dei principi basilari della concezione cristiana dell’organizzazione sociale e politica, che era stato il tema centrale dell’Enciclica precedente, il Papa scrive: « il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà… è più volte enunciato da Leone XIII col nome di “amicizia”…; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di “carità sociale”, mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di “civiltà dell’amore” ». Giovanni Paolo II mette in evidenza come l’insegnamento sociale della Chiesa corra lungo l’asse della reciprocità tra Dio e l’uomo: riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio è la condizione di un autentico sviluppo umano. L’articolata ed approfondita analisi delle « res novae », e specialmente della grande svolta del 1989 con il crollo del sistema sovietico, contiene un apprezzamento per la democrazia e per l’economia libera, nel quadro di un’indispensabile solidarietà.

 

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