Il demone della perfezione. (Arturo Benedetti Michelangeli l’ultimo dei romantici), di Roberto Cotroneo

Arturo Benedetti Michelangeli[i] (ABM. Brescia 1920 – Lugano 1995) è stato uno dei pianisti più grandi del ‘900. A lui Roberto Cotroneo (giornalista, scrittore e fotografo italiano) ha dedicato un libro dal titolo “Il demone della perfezione” (Neri Pozza 2020).

Il volume ricostruisce, come elementi di un mosaico, i tasselli della vita del Maestro: non a caso, forse, la tecnica narrativa è quella del susseguirsi, senza indice, di “capitoletti” lunghi due pagine ciascuno. Si ricompongono così: i genitori (Giuseppe e Lina), il fratello Umberto e la sorella Lina (morta di polmonite a soli 8 anni); il diploma di conservatorio conseguito ad appena 14 anni (come testimonia un trafiletto pubblicato sul Corriere della Sera del 30 giugno 1934); il matrimonio, nel 1943, con Giuliana Guidetti, che trovò il modo di restargli accanto anche dopo la separazione avvenuta nel 1970[ii]; la controversia giudiziaria con una casa discografica (che ottenne il sequestro temporaneo dei suoi beni e dei proventi dei futuri concerti con la conseguente sua decisione di non suonare mai più in Italia: p. 53); l’insegnamento (anche al Conservatorio di Bolzano tra il 1950 e il 1959); l’amicizia con Papa Roncalli (p. 56); la passione per le auto sportive (p. 57); la spiritualità che si concretizzava anche con gesti di generosità per le persone in difficoltà (p. 83); la malattia degli ultimi anni (p. 127).

E poi, soprattutto, le sue esecuzioni che lo hanno visto protagonista nelle sale da concerto più prestigiose del pianeta.

 

Cotroneo non rinuncia a tratteggiare la personalità di ABM. E a pagina 58 scrive: “Avendo provato a capire questo genio assoluto, eccentrico e incomprensibile persino ai pianisti, mi sono convinto che ci fosse in lui un misto di perfezione e inconsapevolezza. Come se al mondo reale, dopotutto, non si fosse mai abituato”.

Un genio, quindi. Ma anche un uomo dell’800 ((p. 77) “inattuale”), con un cattivo carattere, che alimentava l’idiosincrasia dei colleghi pianisti e direttori d’orchestra che non lo avvertivano come simile a loro (p. 33-36). Un uomo che aveva paura dei giudizi: di qui il grande autocontrollo e una forma di manierismo che qualcuno gli rimproverava (p. 94). Talmente perfetto da far risultare l’interpretazione fredda o addirittura priva di fascino (p. 63).

Cotroneo gli rimprovera di aver via via ridotto il proprio repertorio e di aver suonato, negli ultimi anni, sempre le stesse cose (p. 101). La ragione: cercare di attutire il suo dolore per ferite misteriose che non conosceremo mai (p. 102).

Personalmente ho trovato molto interessante il libro. Perché, da inesperto, mi ha aiutato a conoscere meglio un talento indiscusso della musica classica. E perché consente di riflettere su alcuni temi di grande interesse.

 

1) Gli ingredienti della “perfezione”.

Secondo Cotroneo, la perfezione è stato il demone di ABM. Ma cos’è la perfezione (in campo musicale e no)? Parlando della perfezione di ABM, l’autore ricorre a questi vocaboli: talento, disciplina, intransigenza (p. 12), concentrazione totale, dedizione, passione (p. 63), sudore, costanza, metodo.

La perfezione attiene alla qualità del compiere. Ma non è solo la mancanza di errori o di difetti. Perfetto è ciò che tende al sublime, quindi alla soglia più alta, perché nella sublimazione si assiste ad un cambio di stato: dall’ordinario allo straordinario.

La perfezione non nasce per caso. È frutto di impegno, esercizio e richiede tempo. La modernità sembra non comprendere il valore degli ingredienti della perfezione. Anzi se ne disinteressa. Non a caso Cotroneo sostiene (p. 12) che la modernità ci condanna alle superfici e alla perdita della profondità; mentre è necessario ritrovare un equilibrio, la lentezza e la solidità di quello che resta e che è per sempre.

Sarebbe un grosso errore, però, credere che la perfezione sia solo un “rullo meccanico”.

 

2) Musica e tecnologie.

E veniamo al secondo tema che emerge dalle pagine del volume.

Eseguire musica è una miscela di artigianato, meccanica, esercizio, intelletto e consapevolezza (p. 13). La musica non esiste senza strumenti (tecnologia, appunto): sono loro che permettono di passare dal silenzio al suono, dal pensiero all’esecuzione (p. 32). ABM conosceva alla perfezione il ruolo dei 25 elementi meccanici del pianoforte a coda al punto di rifiutarsi di suonare ogni volta che l’umidità di una sala poteva compromettere la funzione del feltro che ricopre la testa del martelletto (p. 39-40).

Quella del pianoforte è la tecnologia della “produzione” del suono.

Un’altra tecnologia consente la sua “riproduzione”: stiamo parlando del disco (o del nastro magnetico, o simili). Si apre un dibattito senza fine: i microsolchi possono promettere l’eternità ad una specifica esecuzione ma aprono la strada “all’infedeltà” perché il suono che si produce in una sala da concerto è tutt’altra cosa (p. 93).

Ma caratteristica della tecnologia è la perenne evoluzione. Ecco che al disco in vinile (analogico) si sostituisce il suono digitale. E via altri dibattiti: il suono digitale tende a rendere tutto uguale, ripetibile nello stesso modo all’infinito (p. 13). Lo streaming e piattaforme come Spotify consentono di avere accesso a tutta la musica. Una musica sempre uguale, però, senza sfumature e senza personalità. La quantità rispetto alla qualità. Cotroneo si chiede cosa avrebbe pensato ABM della compressione Mp3 (p. 51).

La tecnologia, quindi, assume forme e caratteristiche diverse.

ABM: amava la tecnologia che consente di produrre il suono (pianoforte); amava meno la tecnologia che consente di riprodurlo (disco); non ha vissuto appieno l’era digitale che quel suono sempre uguale riproduce all’infinito rendendolo fruibile in ogni luogo e in ogni modo (anche se c’è da scommettere che, probabilmente, non la avrebbe amata).

 

3) Compositore ed interprete.

Un altro tema che percorre il volume è il rapporto tra l’autore e l’interpretazione.

Alfred Brendel cita il “paradosso dell’interprete”, in base al quale l’esecutore di un brano musicale deve “dimenticare” se stesso mentre lo suona: con un dominio totale della propria persona, egli deve rispettare e onorare il compositore e la sua creazione, ma, allo stesso tempo, deve lasciare spazio all’illuminazione creativa del momento[iii].

Occorre una fedeltà al testo e allo spartito. L’esecutore deve essere “neutrale” perché, suo compito, è “tirar fuori” la verità degli autori (p. 103). Ma “neutrale” può esserlo davvero? Gli interpreti possono far nascere suoni nuovi da pagine di musica che restano scritte per chi vorrà eseguirle (p. 125).

In ogni caso c’è un elemento da tenere in considerazione. Si dice che occorre essere fedeli al compositore. Ma come suonava Chopin? O Franz Liszt? Non abbiamo loro dischi perché ai loro tempi non c’era ancora una affidabile tecnologia di riproduzione del suono. Come avrebbero, quegli autori, suonato i loro brani? Come si può essere fedeli a una cosa che non conosciamo?

In realtà ogni esecuzione (ri)dà vita allo spartito e, in questo senso, (ri)crea ogni volta.

Secondo ABM ci sono solo due modi di suonare: bene o male. Secondo Cotroneo non è vero (anche se quella affermazione dice molte cose di ABM): nella musica la perfezione è un’ingenuità (p. 112).

In ogni caso tra compositore ed esecutore un ruolo lo ha anche l’ascoltatore. In tale prospettiva Cotroneo si chiede se esista un’etica dell’esecutore che gli vieti di privare il pubblico di una esecuzione perfetta fatta in privato (p. 134).

 

4) Maestro ed allievi.

ABM ha avuto tanti allievi. Non si è mai fatto pagare per i suoi corsi di perfezionamento (p.49) e spesso li teneva in Trentino, in val di Rabbi (p. 56). Era severo con loro.

Cotroneo riporta un virgolettato di ABM (p. 121): “Dai miei studenti esigo che studino sempre di più, e più a lungo di quanto loro stessi ritengano sufficiente. Ma ahimé loro non lo sanno”.

Non stupisce una simile affermazione da parte di chi era agitato dal “demone della perfezione”.

Esigere sembra un termine di altri tempi, come ABM. Un Maestro può oggi “esigere” qualcosa dai suoi allievi? E resta tale se non lo fa?

Sappiamo che più che il Maestro è l’aspirazione alla perfezione che impone di esigere, innanzitutto da se stessi, (lo abbiamo visto al punto 1): concentrazione, impegno, esercizio, dedizione, sudore e così via. Ma è possibile tutto questo in una società che vive in superficie? Sarebbe bello conoscere la risposta di ABM.

Cotroneo: da leggere.

Arturo Benedetti MIchelangeli: da ascoltare e, soprattutto, meditare.

 

 

[i] La biografia di Arturo Benedetti Michelangeli si può leggere nel Dizionario Biografico degli Italiani (2013), della Treccani a questo indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/arturo-benedetti-michelangeli_(Dizionario-Biografico)/.

[ii] Giuliana Guidetti ha scritto un libro su suo marito. Cfr. Benedetti Michelangeli, G. & Rossi, M., Vita con Ciro, Ermitage, 1997.

[iii] Citazione ripresa da Pierluigi Piran, La relazione creativa tra interprete e compositore, in Multiverso, http://www.multiversoweb.it/rivista/n-13-due/la-relazione-creativa-tra-interprete-e-compositore-4389/.

Vedi anche Margherita Anselmi, Interpretazione musicale: esecuzione o creazione? Filosofia dell’interpretazione musicale, in A due voci. Dialoghi di musica e filosofia, https://www.aduevoci.org/2020/02/02/interpretazione-musicale-esecuzione-o-creazione/.

E Margherita Anselmi, Antinomia dell’interprete. Filosofia dell’interpretazione musicale, in A due voci. Dialoghi di musica e filosofia, https://www.aduevoci.org/2019/03/30/antinomia-dellinterprete-filosofia-dellinterpretazione-musicale/

 

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