Perché non mi candido alla carica di Rettore

DiGiovanni Pascuzzi

5 Dicembre 2020

Nelle prossime settimane la nostra comunità sceglierà la nuova Rettrice o il nuovo Rettore dell’Università di Trento.

Più di una persona mi ha chiesto di presentare la candidatura.

Ho preso sul serio questo invito. Dopo aver molto riflettuto, ho deciso di non candidarmi. Spiego qui le ragioni a beneficio di chi avrà voglia di leggerle.

 

A febbraio del 2016 presentai la mia candidatura al Senato accademico. Riproduco alcune frasi contenute nella lettera che all’epoca inviai agli elettori.

 

“A tre anni dall’entrata in vigore del nuovo statuto è cresciuta la distanza tra la base e il vertice. Mi pare diffusa la sensazione che non si abbiano informazioni sul lavoro svolto dal Senato e che prevalga la rassegnazione a non poter in alcun modo incidere sui processi decisionali con conseguente tendenza a rinchiudersi nel proprio personale spazio di lavoro. Il contrario di ciò che deve essere una comunità accademica.

Naturalmente è sterile rilevare delle criticità senza provare a dare il proprio contributo per superarle.

Ho deciso, pertanto, di presentare la mia candidatura alle elezioni del 16 marzo [2016]. Se verrò eletto mi impegno principalmente a:

– Informare la comunità accademica (attraverso una newsletter periodica, ovvero degli incontri pubblici, o degli interventi, su richiesta, nei consigli di Dipartimento) sugli argomenti più importanti trattati dal Senato;

– Riportare in Senato le proposte che la comunità accademica riterrà di avanzare.

– Chiedere l’inserzione a verbale dei miei interventi (sia a favore che contro le delibere) affinché la comunità possa giudicare la coerenza e la qualità del mio lavoro”.

 

Nel 2016 ebbi la fiducia dei colleghi (riconfermata nel 2019).

Credo di aver mantenuto i miei impegni: ho spedito, fino ad oggi, 128 newsletter (nel secondo mandato solo a chi me ne ha fatto richiesta).

Ma dopo quasi 5 anni i problemi che segnalavo allora mi sembrano aggravati.

 

a) Da tempo non vengono più pubblicati sul portale di ateneo nemmeno gli ordini del giorno delle riunioni di Senato, Cda, e Consulta dei Direttori: la comunità non è in grado di sapere neanche di cosa si discuta al “vertice”. Pongo in esponente questo tema perché è la cartina di tornasole di un preciso modello: quello di un potere verticistico, distante, non dialogante, non trasparente.

b) Non sono più diffusi i resoconti ufficiali delle riunioni degli organi (malgrado ad aprile 2016 sia stata adottata dal Senato una specifica delibera che impegnava chi di dovere a diffondere detti resoconti dopo ogni seduta).

c) Il Senato è sempre più un “Consiglio privato” (da “Privy Council”) del Rettore perché composto quasi per intero da suoi nominati o delegati, situazione che fa saltare i meccanismi democratici della proposta e del controllo.

d) L’estraneità tra base e vertice è cresciuta sempre di più. Mai, nemmeno sui regolamenti più importanti, la base è stata consultata. Le decisioni continuano a “piovere dall’alto”.

e) Praticamente inesistente è la partecipazione. Rarissime sono le convocazioni della comunità (sull’istituzione del corso di laurea in Medicina l’assemblea è stata convocata a decisione già presa).

 

Pensavo che la comunità avrebbe reagito con veemenza a questo stato di cose rivendicando il diritto a sapere, a discutere, a partecipare, a controllare. Invece ci si è adattati. Nel tempo è cresciuta in me la convinzione che questo modello sia gradito se non addirittura auspicato. Detto in altre parole, la comunità universitaria e quella trentina hanno accettato che questa Università venisse gestita come se fosse un’impresa privata e non come una istituzione pubblica che opera secondo i principi della trasparenza e della partecipazione al processo decisionale.

 

In questi anni ho provato anche ad evidenziare i problemi di vitale importanza per il futuro dell’Ateneo. Elenco i principali.

 

A) Ho spesso richiamato l’attenzione sui rapporti con la PAT. Il rapporto tra le due autonomie non è stato mai definito per davvero. C’è poi il tema, che io per primo ho sollevato in Senato 4 anni fa, dell’enorme credito che Unitn vanta verso PAT (circa 180 milioni di euro). Un problema che prima o poi esploderà: sul piano contabile e su quello programmatico. Questi aspetti sono fondamentali perché investono direttamente le prospettive di lungo periodo. Lo snodo dei prossimi anni sarà quello della sostenibilità economica dell’autonomia del Trentino (ho spiegato le ragioni qui). E lo sarà anche per l’Università visto lo stretto legame esistente tra le due autonomie.

 

B) Ho perorato una riforma dello Statuto che perseguisse alcuni obiettivi di fondo: ridurre il verticismo e la centralizzazione che si concretizzano nell’attribuzione alla figura del Rettore del potere decisionale; accrescere l’autonomia dei Dipartimenti; restituire alla componente accademica la responsabilità politica dell’organizzazione amministrativa e del governo del personale tecnico e amministrativo.

 

C) Ho segnalato la progressiva perdita di qualità dei servizi dovuta a tante ragioni, non ultima la demotivazione del personale tecnico e amministrativo.

 

D) Ho evidenziato l’inerzia sul piano della crescita edilizia e degli spazi. Sono stati spesi molti soldi per iniziative spot (acquisto ex CTE e Palazzo Consolati). Ma manca una visione d’insieme e un progetto complessivo della espansione futura.

 

E) Ho cercato di spiegare i limiti della scelta di istituire il corso di laurea in Medicina con risorse disponibili solo in futuro e soprattutto di perseguire una “piccola Medicina” con un ammontare di risorse e un numero di docenti neanche lontanamente paragonabili a quelli che danno vita alle migliori scuole di Medicina del paese.

 

Anche in questo caso pensavo che la comunità avrebbe reagito pretendendo riforme, visione, prospettive, progetti solidi. Invece, ancora una volta, ci si è adattati a questo stato di cose. E di nuovo, nel tempo, è cresciuta in me la convinzione che ciò che io considero sbagliato è in realtà apprezzato se non addirittura voluto.

 

Non rinnego nulla di ciò che ho fatto negli ultimi 5 anni in Senato. Rifarei tutto perché credo di aver recitato un ruolo (faticoso e scomodo per me ma) utile per l’Ateneo.

Mi sembra, però, che la nostra comunità non voglia partecipare, si accontenti della gestione dell’ordinario, si occupi di interessi circoscritti senza disponibilità ad impegnarsi in un progetto collettivo di lungo periodo.

Mi sembra che la più parte della nostra comunità abbia dimostrato, nei fatti, di volere la continuità e non il cambiamento.

Per questo non vedo le condizioni per fare passi ulteriori nel campo del governo dell’Ateneo.

 

Trento, 5 dicembre 2020

 

[Il 6 dicembre 2020, l’Adige ha pubblicato un’ampia sintesi di questo post]

[Il 5 gennaio 2021, l’Adige ha pubblicato una intervista al Rettore che dice «Sono tante le cose che avevo promesso e che sono rimaste da fare, come il piano edilizio e la revisione dello Statuto dell’ateneo, e mi sento in colpa per questo»].

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