Si è svolto oggi, 9 dicembre 2020, presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento, il seminario dal titolo “Sistemi Giuridici Comparati. Un insegnamento, una storia”.
Il seminario è stato in organizzato per festeggiare il Prof. Massimo Santaroni che l’insegnamento di Sistemi giuridici comparati ha impartito nella Facoltà trentina praticamente da quando è nata e che tra pochi giorni andrà in pensione.
Di seguito la successione degli interventi.
I saluti iniziali sono stati formulati da Fulvio Cortese, (Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento), mentre Gian Antonio Benacchio (Università di Trento) ha svolto la relazione introduttiva.
C’è stata poi una tavola rotonda, presieduta da Luisa Antoniolli (Università di Trento) cui hanno partecipato:
Attilio Guarneri, Emerito, Università Bocconi, Milano
Silvia Ferreri, Università di Torino
Giulio Ponzanelli, Università Cattolica, Milano
Filippo Sartori, Università di Trento
Giovanni Pascuzzi, Università di Trento
Elena Ioriatti, Università di Trento.
A seguire c’è stato un ampio dibattito, animato da tanti interventi dei colleghi della Facoltà.
Il seminario, svoltosi via zoom per le note problematiche legate al Covid-19, è durato più di 3 ore ed è riuscito a mettere a fuoco la figura di studioso e di didatta di Massimo Santaroni. Soprattutto sono emerse le sue doti umane.
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Nel mio breve intervento ho provato a dare risposta ad un interrogativo. Certamente il diritto comparato merita di essere un tassello importante della formazione del giurista. Ma perché a Trento si è deciso di rendere obbligatorio e al primo anno proprio l’insegnamento di Sistemi giuridici comparati?
Le ragioni possono essere tante. A mio avviso una ha valore decisivo.
La comparazione giuridica, per poter maneggiare l’imponente massa di dati di cui è chiamata ad occuparsi, ha dovuto necessariamente dedicare imponenti sforzi a classificare gli ordinamenti in famiglie. Classificare si configura come un mezzo per arricchire le conoscenze e non come un’operazione fine a se stessa: nella comparazione giuridica, come in molte altre scienze, ogni classificazione serve ad uno scopo limitato e nessuna può pretendere di inquadrare adeguatamente qualsiasi problema comparatistico[i].
Considerazioni di questo tipo si ritrovano un po’ in tutti i manuali introduttivi al diritto comparato. Zweigert e Kötz spiegano che la suddivisione dell’insieme dei sistemi giuridici in un numero relativamente piccolo di gruppi risponde soprattutto ad un bisogno teorico di classificazione, poiché riordina una massa indistinta di ordinamenti in un ordine comprensibile, facilitando al tempo stesso la ricerca comparatistica[ii]. A propria volta Siems spiega che le classificazioni facilitano la descrizione e la comprensione dei diritti stranieri. Un ricercatore che analizza sistemi giuridici conosciuti per possedere determinate caratteristiche in comune, può concentrarsi sulle differenze[iii].
Attraverso le classificazioni si può giungere a «mappare» i diversi territori del pianeta non solo in funzione dei sistemi giuridici ma anche degli istituti giuridici più importanti: il contratto, la circolazione della ricchezza, le figure tipiche del mondo degli affari, e così via. Una dimostrazione di ciò si può rinvenire nel famoso «Atlante di diritto privato comparato» curato qualche anno fa da Francesco Galgano[iv]. In quel volume alcune tavole, ovvero delle vere e proprie mappe, «visualizzavano», oltre alle distinzioni sistemologiche classiche, le soluzioni operazionali adottate nei diversi Paesi con riferimento alle specifiche problematiche prese in considerazione.
Attraverso le classificazioni organizziamo la nostra conoscenza: esse, come si è visto, diventano indispensabili via via che crescono i dati a disposizione. In qualche modo categorizziamo anche per ridurre la quantità di informazioni che dobbiamo apprendere, percepire, ricordare, riconoscere.
La classificazione è una delle forme, tra le più semplici, attraverso le quali strutturiamo la nostra conoscenza anche al fine di attribuirle uno scopo predittivo.
Gli schemi sono gruppi strutturati di concetti e di solito contengono una situazione generale su situazioni stereotipiche. Gli schemi sono stati usati per spiegare la nostra capacità di fare inferenze in situazione complesse, di fare assunzioni per default su aspetti non specificati delle situazioni e per formulare previsioni sugli sviluppi futuri degli eventi[v].
Di seguito un possibile esempio di come funzionano gli schemi.
La lettura ci consente di edificare il nostro sapere (dichiarativo) in campo giuridico. Nella lettura dei manuali istituzionali, ad esempio, isolando concetti, significati, teorie, si apprendono istituti e discipline. Man mano che questa conoscenza istituzionale cresce costruiamo schemi via via più complessi che ricomprendono concetti, significati e teorie. Cogliendo inferenze, scorgendo legami, portando alla luce connessioni implicite, organizziamo il nostro sapere in una visione più ampia e organica. Per questa via si perviene a porre le basi della conoscenza del diritto privato, del diritto costituzionale, del diritto comparato, ecc.
Il possesso di questi schemi ci consente, in un secondo momento, di incrementare la nostra conoscenza. L’aver appreso i manuali istituzionali è la premessa per studiare lavori monografici più approfonditi e complessi. Si assiste allora a una nuova attività cognitiva. Le informazioni aggiuntive vengono rapportate agli schemi già in nostro possesso. Può prodursi conformità di traiettorie: nel qual caso avremo un mero accrescimento di conoscenza. Ma può anche accadere che le informazioni introitate dalla nuova lettura si rivelino non coerenti con gli schemi mentali che abbiamo maturato. Possiamo capire di non capire ciò che stiamo leggendo perché nella nuova lettura ritroviamo qualcosa che mal si concilia con quanto ci si aspettava di leggere. Può capitare che non abbiamo nessuno schema che ci aiuti a interpretare quanto di nuovo stiamo leggendo. Oppure che la lettura sia oscura e che quindi non riusciamo a rintracciare la chiave interpretativa che pur abbiamo più utile a inquadrare quanto leggiamo. O ancora che ritroviamo lo schema giusto ma che lo stesso è in palese contraddizione con quello proprio dell’autore dello scritto. Le nuove informazioni in quest’ultimo caso ci obbligano a ridefinire le nostre visioni delle cose. Si rende così necessario modificare i nostri schemi per ricomprendere le conoscenze aggiuntive. Si può giungere addirittura ad abbandonare vecchi schemi per crearne di nuovi più utili a interpretare e organizzare conoscenze vecchie e nuove.
Le classificazioni del comparatista aiutano a costruire schemi mentali, ovvero strutture in grado di organizzare la conoscenza[vi].
Ecco quindi l’importanza del diritto comparato e della sistemologia in particolare.
Aver previsto l’insegnamento di Sistemi giuridici comparati come fondamentale del primo anno permette agli studenti di apprendere un modo utile a costruire la conoscenza e quindi ad imparare.
A Trento Sistemi giuridici comparati è stato un tutt’uno, per molti decenni, con Massimo Santaroni e viceversa. Egli, quindi, ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione di molte generazioni di studenti.
Poi ho ricordato alcuni episodi della mia amicizia con Massimo Santaroni. Quando arrivai a Trento, nel 1992, conoscevo pochi colleghi. Tra cui lui, che la prima sera mi portò a cena al ristorante “Roma”, in centro, che ora non esiste più.
Ho sottolineato, come tutti, la signorilità e l’umanità di Massimo e la sua appartenenza ad un modo di intendere il ruolo degli accademici che si sta sempre più perdendo.
[i] U. Mattei e P. G. Monateri, Introduzione breve al diritto comparato, Padova, Cedam, 1997, 51-52.
[ii] K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato. Principi fondamentali, Milano, Giuffrè, 1992, 76.
[iii] M. Siems, Comparative law, Cambridge, Cambridge university press, 2014, 73.
[iv] F. Galgano, (a cura di, con la collaborazione di F. Ferrari e G. Ajani), Atlante di diritto privato comparato, Bologna, Zanichelli, 1992.
[v] M. W. Eysenck e M. T. Keane, Manuale di psicologia cognitiva, Milano, Edizioni Sorbona, 1998,261.
[vi] Di «schemi classificatori» esplicitamente parla E. Orücü, Methodology of comparative law, in J. M. Smits, Elgar Encyclopedia of comparative law, Cheltenham-Northampton, Elgar, 2012, 560 ss.
Per approfondimenti
G. Pascuzzi, Conoscere comparando: tra tossonomie ed errori cognitivi