Lo scorso 1° aprile, intervenendo all’assemblea del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte ha detto di voler rifondare (ovvero: rigenerare) quel Movimento muovendo da due punti fermi di seguito testualmente riportati:
1) condividere una proposta politica solida, matura, coraggiosa, lungimirante, che indichi una chiara identità politica;
2) dotare il neo-Movimento di un principio di razionalità organizzativa, in modo da rendere più efficace e pervasiva l’iniziativa politica, più coinvolgente il dialogo con le varie articolazioni territoriali e valorizzare il dialogo con la società civile.
Per capire la ragione che ha portato Conte a porre in esponente proprio questi obiettivi può essere utile leggere il libro di Paolo Gerbaudo dal titolo “I partiti digitali” (edito in Italia da Il Mulino, 2020).
L’autore, studiando l’esperienza dei “partiti pirata” nel Nord Europa, di Podemos in Spagna, di France Insoumise in Francia, di Momentum nel Regno Unito e del Movimento 5 Stelle in Italia, ha enucleato caratteristiche, pregi e limiti di queste nuove forme di partito. Di seguito una piccola sintesi.
1) I partiti digitali possono essere visti come una risposta al declino della partecipazione politica dei cittadini sempre più apatici e disinteressati e al declino della democrazia nei partiti tradizionali.
2) Essi hanno dato voce, in particolare, agli “outsider connessi”, ovvero a quelle persone con alto grado di istruzione ma con basso reddito e con lavoro precario che chiedono nuovi diritti digitali (es.: totale libertà di espressione) e maggiore partecipazione democratica (e-democracy).
3) Cuore del partito è la “piattaforma” ovvero uno strumento tecnologico (come la piattaforma Rousseau) che promette disintermediazione e possibilità di partecipazione diretta tanto al dibattito politico quanto al momento deliberativo. Il “partecipazionismo” diventa una specie di ideologia.
4) La piattaforma consente di azzerare la struttura organizzativa e burocratica propria dei partiti tradizionali.
5) La mancanza di struttura viene sostituita dalla presenza di un “iperleader”, figura carismatica che rappresenta il partito su Internet e sui media e da una “superbase” alimentata dalla facilità con la quale si può aderire al partito online grazie a pochi click.
Gerbaudo spiega, però, che le piattaforme sono i nuovi intermediari (sulla falsariga degli oligopoli della rete come Facebook e Google che fanno business sui dati personali dei clienti). Sono solo i vecchi intermediari a sparire (ovvero: i quadri di partito), ma se ne creano di nuovi a livello più alto. Di fatto la piattaforma apre la strada alla centralizzazione del potere decisionale. Essa, lungi dal promuovere la democrazia dal basso, favorisce la democrazia plebiscitaria dove la base è interpellata per ratificare le decisioni del leader: una specie di democrazia solo “reattiva” e controllata dall’alto. Il procedimento prevale sui contenuti e a farne le spese è la linea politica che diventa ondivaga (in pochi mesi il Movimento 5 Stelle è passato dall’alleanza con Salvini all’alleanza con il Pd, strategie politiche teoricamente antitetiche ma entrambe approvate dagli iscritti alla piattaforma Rousseau). Il leader e il suo cerchio magico (formato da fedelissimi e spin doctor) detengono praticamente tutto il potere. Anche perché, al di là della ampia adesione, sono poche le persone che partecipano davvero alla vita del partito non limitandosi al voto su questo o quel tema nel momento in cui il vertice chiede di votare.
Gerbaudo suggerisce ai partiti digitali una propria ricetta. A suo avviso occorre:
a) superare l’ossessione proceduralista. La procedura (la partecipazione) è un mezzo non un fine. Un tempo la piattaforma era l’insieme delle politiche perseguite da un partito e non lo strumento per intervenire e votare: questo equivoco va chiarito;
b) dotarsi di un proprio quadro di valori di riferimento, senza dipendere dagli umori della base, al fine da offrire ai cittadini una visione di governo della società;
c) rivedere profondamente il processo democratico interno, la gestione delle piattaforme e dei processi decisionali;
d) affiancare agli spazi virtuali anche spazi fisici di incontro e di partecipazione per iscritti e militanti;
e) attribuire il giusto peso alla rappresentanza e alla struttura del partito per rendere meno evanescente il “partito nuvola”.
Mi pare di poter dire che i punti della proposta di Giuseppe Conte ricordati all’inizio (dotarsi di una chiara identità politica e rivedere la struttura interna sul piano della partecipazione e dell’organizzazione territoriale) riprendano gli ingredienti più significativi della ricetta di Gerbaudo.
Riuscirà Giuseppe Conte nel suo intento? Difficile dirlo. E il conflitto che lo contrappone a Casaleggio junior (proprietario della piattaforma Rousseau) ci fa capire quanto alta sia la posta in gioco. È probabile che i pentastellati non riescano a restare tutti uniti: forse sarà il prezzo da pagare per delineare una identità politica chiara.
Ma la considerazione più importante riguarda gli altri partiti che magari trovano motivo di inconfessabile rivincita nella crisi del Movimento che alle ultime elezioni politiche, nel 2018, era stato il più premiato dagli elettori.
La nascita dei partiti digitali dimostra che dalla società emergono nuove esigenze di rappresentanza e di partecipazione a dispetto dell’apatia con la quale sempre più persone guardavano ai partiti tradizionali come attestato dal crescente astensionismo. Essi si sono dimostrati ingenui nel credere acriticamente alle potenzialità della tecnologia che ha finito per creare intermediazioni peggiori di quelle che si volevano combattere (esattamente come avviene con tutte le piattaforme del web). La tecnologia non è neutra. La sfida è quella di aggiornare le forme della politica e della democrazia per coniugarle con quanto di positivo c’è nelle innovazioni tecnologiche. Non è solo la sfida di Giuseppe Conte: è una sfida per tutti i partiti.