La tragedia della funivia del Mottarone, con i suoi 14 morti, ci ha fatto rivivere le sensazioni che proviamo ogni volta che si verifica un disastro: incredulità, rabbia, indignazione. Forse quella meno sbandierata è la sensazione di fragilità. La tecnologia fa passi da gigante eppure tutte le meraviglie del progresso non impediscono che vite umane vengano mietute a decine se crolla un ponte, se cade un aereo, se esplode una industria chimica o una rete di trasporto dell’energia e così via.
I disastri rappresentano una eventualità possibile dei cosiddetti sistemi sociotecnici complessi. Vengono definiti in questo modo i sistemi nei quali gli uomini interagiscono con la tecnologia nella produzione di beni e servizi (si pensi alla costruzione dei motori a reazione che consentono il volo di aerei pesanti centinaia di tonnellate). Tali sistemi hanno delle caratteristiche comuni: includono un numero molto alto di agenti e di componenti tra i quali intercorrono relazioni dinamiche e non lineari; si avvalgono di un’organizzazione gerarchica multilivello; si affidano a controlli decentralizzati e così via.
Secondo gli studi, i disastri prodotti da questi tipi di sistemi sono riconducibili a 5 tipologie di cause, che sono:
a) la mancanza di monitoraggio. Si ha quando non vengono rilevati e valutati in maniera corretta tutti i parametri rilevanti che possono far presagire errori e malfunzionamenti;
b) la mancanza di decisione. Si pensi all’ipotesi in cui si omette di prendere la decisione corretta in tempi ragionevoli ovvero si assumono decisioni inadeguate come quando, ad esempio, non si forniscono agli agenti le risorse necessarie per porre in essere correttamente il compito loro affidato;
c) l’azione sbagliata. Tale è l’attività posta in essere, ai diversi livelli, senza seguire gli standard operativi corretti;
d) la comunicazione sbagliata. Riguarda quelle criticità che investono i percorsi (formali e informali) che i messaggi seguono tra i diversi livelli e i diversi agenti dell’organizzazione;
e) le mancanze strutturali. I disastri, infine, possono essere causati da errori di progettazione generale del sistema, dalla mancanza di manutenzione o dall’assenza di procedure corrette per tutti i compiti presupposti dal sistema.
Gli esperti ripetono che quasi mai c’è una sola ragione all’origine di un disastro. Al contrario, si verificano errori concorrenti a diversi livelli partendo dal personale (che ha compiuto una singola azione) per arrivare alla agenzia di regolazione (che non ha dettato norme in tutto e per tutto idonee a prevenire l’evento avverso) passando per il management del sistema. Le investigazioni dimostrano che spesso le procedure di sicurezza si erano allentate per mesi se non per anni prima dell’incidente al punto che l’interrogativo non era se esso sarebbe avvenuto ma quando.
Il fallimento sistemico di regola coinvolge i vertici aziendali: perché la sicurezza non è stata perseguita davvero; perché si è tollerato il comportamento non conforme; perché si è incoraggiata l’assunzione di rischi eccessivi. È l’impoverimento della cultura della sicurezza che apre la strada ai disastri.
La vicenda del Mottarone ci ricorda che la battaglia per la sicurezza è una battaglia culturale che va portata avanti dalla società civile nel suo insieme in maniera coerente ovvero senza ambiguità.
Provo a spiegarmi con un esempio. Qualche anno fa alcuni dipendenti delle ferrovie vennero licenziati perché avevano denunciato pubblicamente l’insicurezza degli etr (su cui ogni giorno viaggiano decine di migliaia di persone). La posizione delle ferrovie era: la denuncia deve essere solo interna; denunciare all’esterno significa danneggiare l’immagine dell’azienda (con conseguente violazione del codice di comportamento aziendale). Il dipendente deve essere fedele all’azienda o alla sicurezza?
Se la cultura è quella per la quale i panni sporchi si lavano in famiglia, se la cultura è quella per cui se vuoi far notare a chi comanda che sbaglia vieni licenziato, se la cultura è quella del profitto ad ogni costo e non la tutela delle persone che del servizio fruiscono, se la cultura è considerare i controlli come insopportabili lacci e lacciuoli, se la cultura è quella di emarginare chi chiede il rispetto di elementari obblighi etici prima ancora che giuridici non dobbiamo meravigliarci se poi avvengono dei disastri.
Ma c’è anche un altro profilo culturale su cui conviene soffermare l’attenzione. Esso attiene direttamente alle tecnologie. Queste ultime possono minacciarci ma possono anche proteggerci. Non è fantascienza pensare che già oggi (per rimanere all’esempio da cui siamo partiti) salendo su una funivia, un segnale luminoso e acustico possa segnalare ai viaggiatori se i sistemi di sicurezza sono tutti attivi o no (così come il cicalino in macchina ci segnala se non abbiamo allacciato le cinture di sicurezza). Ma si può andare anche oltre e immaginare che siano dei sistemi di intelligenza artificiale a decidere se una funivia può partire oppure no in funzione della reale funzionalità di tutti i sistemi di sicurezza. Certo, qualcuno potrebbe ribellarsi all’idea di sacrificare il libero arbitrio umano a vantaggio delle macchine pensanti. Ma forse non è azzardato credere che le 14 persone morte sono state vittime del libero arbitrio di qualche umano. La possibilità di scegliere dovremmo meritarcela difendendo e attuando quotidianamente i valori che ci rendono umani.