Gli scienziati cognitivi definiscono “focalizzazione” quel fenomeno che porta le persone ad affrontare i problemi  ritenendosi soddisfatte di una specifica soluzione anche quando si hanno informazioni insufficienti su possibili azioni alternative. In concreto si restringe la visione a poche opzioni tra le molte possibili alternative. Si finisce per considerare attraente l’opzione su cui si focalizza l’attenzione incuranti del fatto che essa possa essere la meno razionale (per approfondimenti vedi Bonini, Del Missier e Rumiati, Psicologia del giudizio e della decisione, Il Mulino, 2008, p. 121 ss.).

La vicenda della lotta al Covid dimostra che un po’ tutti cadiamo vittime della focalizzazione.

1) I no-vax. Tanti tra i contrari al vaccino motivano la loro scelta sulla considerazione che non sarebbero noti i suoi effetti a lungo termine. La focalizzazione su questo dato conduce alla scelta di non vaccinarsi. Ma queste persone omettono di considerare tutte le altre considerazioni rilevanti. Ad esempio: sono per caso noti gli effetti a lungo termine (non del vaccino ma) del Covid? Un dato aiuta a capire l’importanza del tema. Da qualche tempo è stata diagnosticata la cosiddetta “sindrome post-poliomelitica”. A distanza di 15-40 anni dopo la remissione della malattia, alcuni pazienti che hanno contratto la polio tanto tanto tempo fa, possono accusare nuovamente alcuni dei sintomi della malattia stessa (affaticamento muscolare anomalo, debolezza, etc.). Tornando al Covid, in questo momento non sappiamo con certezza gli effetti a lungo termine del vaccino, ma ancora meno conosciamo gli effetti a lungo termine della malattia. Ma alcune persone preferiscono focalizzarsi sulla opzione che è diventata loro cara senza considerare che è preferibile non ammalarsi (aiutati dal vaccino) invece di ammalarsi ed esporsi ad un possibile danno a lungo termine.

2) Gli architetti delle politiche vaccinali. L’effetto focalizzazione sembra colpire anche chi è (giustamente) preoccupato di vaccinare il maggior numero possibile di persone. Per esplicita ammissione dei decisori politici, il green pass viene usato come strumento per indurre le persone a vaccinarsi: non si introduce l’obbligo vaccinale ma si introducono una serie di limitazioni alle attività che si possono fare senza vaccinazione così che la gente decida di vaccinarsi per ottenere il documento (il green pass appunto) che consente di svolgere le attività altrimenti vietate: compreso da ultimo la possibilità di recarsi al lavoro. Questa strategia è riconducibile al cosiddetto “nudging”: il green pass è una specie di “spinta gentile” alla vaccinazione. In un primo tempo ha funzionato molto bene. Ma da ultimo (malgrado l’aumento del numero di attività che non si possono svolgere senza green pass) non si registra più un aumento apprezzabile di prime dosi. Anzi si assiste ad un aumento delle proteste (almeno di quelle rumorose quando non violente). Il fatto è che focalizzare le politiche di incentivo alla vaccinazione al solo green pass impedisce di vedere che tale strumento può essere inadeguato per far leva su tutte le persone: su un anziano pensionato a basso reddito il green pass ha scarso appeal perché al ristorante non ci va mai. La logica dell’incentivo alla vaccinazione presuppone che si sappiano individuare gli incentivi giusti per le diverse categorie di persone (ho approfondito il tema nell’editoriale apparso su questo giornale il 4 agosto scorso).

3) I vaccinati. Anche le persone che hanno aderito alla campagna vaccinale (ed è, per fortuna, la parte più cospicua della popolazione) possono diventare vittime della focalizzazione. Tralasciando chi è convinto di aver fatto una scelta che lo pone al riparo da ogni problema al punto da omettere ogni precauzione, occorrerebbe porsi alcuni interrogativi sulla possibile esistenza di strategie e soluzioni migliori. Ecco alcuni esempi. a) Gli esperti dicono che potremmo essere colpiti dalle varianti del Covid che si sviluppano soprattutto laddove il virus può diffondersi liberamente perché non ci sono misure di contrasto. Cosa si sta facendo per vaccinare la popolazione mondiale, specie quella che vive nei paesi meno ricchi? Non sarebbe opportuno sospendere i brevetti sui vaccini esistenti? (è significativo che il Papa abbia preso una precisa posizione su questo). b) Sempre gli esperti dicono che i vaccini attualmente disponibili hanno una efficacia limitata nel tempo. Si sta facendo qualcosa per migliorare l’efficacia nel tempo dei vaccini che abbiamo? Qualcuno sta studiando dei vaccini migliori, di nuova generazione? Qualcuno sta studiando delle forme di trasporto e inoculazione migliori (esempio: vaccini che non debbano essere conservati a meno 80 gradi o vaccini che possano essere somministrati con un cerotto, come aveva ipotizzato Ilaria Capua in un articolo sul Corriere della Sera – Economia del 5 aprile) (pdf)? c) Le aziende che producono i vaccini attualmente disponibili sono i soggetti che hanno gli incentivi più forti a produrre vaccini migliori? Oppure l’aver conquistato ampie fette di mercato le induce a dormire su quelli che per loro sono gli allori ma per noi è una situazione che vorremmo più appagante? Anche qui il rischio di abbandonarsi ad una visione monocorde dei problemi è molto alto.

Sui problemi, specie quelli complessi, bisogna avere uno sguardo ampio perché la trappola della focalizzazione è sempre in agguanto e può portare tutti a prendere decisioni non ottimali.

P.s. Qualche lettore potrebbe chiedersi se l’autore di questo articolo non sia a sua volta vittima della focalizzazione. La risposta è affermativa. Un esempio può essere la focalizzazione sull’idea che tutti dovremmo prendere decisioni (individuali e collettive) il più possibile razionali.

l’Adige 27 ottobre 2021

Alto Adige, 30 ottobre 2021

 

 

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