“Fare sistema” è un’espressione che si sente ripetere spesso. La Treccani la considera un neologismo e la definisce in questo modo: “Agire con metodo, seguendo regole e schemi predisposti, e con il concorso coordinato di tutte le energie e le risorse disponibili”.
Il suo terreno di elezione è quello economico. Non a caso, sul piano normativo, l’opportunità di “fare sistema” viene citata per la prima volta in maniera esplicita in un decreto del Ministero del commercio estero del 17 marzo 1995 dedicato alle attività promozionali da porre in essere per rendere più efficaci le esportazioni italiane.
Nella prospettiva indicata, “fare sistema” diventa sinonimo di “fare squadra”. E, infatti, la definizione prima ricordata ricomprende i tre elementi indispensabili a detto fine: a) un obiettivo; b) i soggetti adatti a perseguire l’obiettivo; c) un metodo di lavoro. Sorgono, però, alcuni interrogativi.
Il primo riguarda la scala dimensionale. A quale livello è utile o efficiente fare sistema? Nel decreto prima citato il sistema preso in considerazione è quello nazionale. Ma nella nostra realtà si invoca a più riprese la necessità per il Trentino e per l’Alto Adige (da soli o insieme) di fare sistema. Ecco, quindi, che possono esistere più “sistemi” (e più possibilità di fare sistema). Quale è preferibile e quale deve essere perseguito? Può accadere che singoli territori entrino in competizione tra loro (la “competizione tra territori” è un altro mantra dei nostri tempi) ma che poi vengano chiamati a fare sistema in una dimensione nazionale o addirittura europea.
Emerge così il secondo interrogativo che riguarda il metodo di lavoro. Si può fare sistema se i soggetti coinvolti sono in competizione tra loro? La riforma Gelmini degli atenei (l. 240/2010) disciplina testualmente “il sistema universitario” italiano e afferma che gli studenti si iscrivono al “sistema universitario”. Solo che poi la stessa legge, ai fini della distribuzione delle risorse, mette gli atenei italiani in una competizione feroce tra loro: un discorso non molto diverso vale per le scuole e per la sanità. Quale deve essere il metodo di lavoro per fare sistema: la concorrenza o la cooperazione? Perché un metodo concorrenziale spinto (quando non sleale) tutto favorisce tranne che la collaborazione in un’ottica unitaria.
Il terzo tipo di interrogativi nasce in relazione agli obiettivi del fare sistema. Quotidianamente siamo chiamati a scelte importanti. Il G20 appena conclusosi a Roma ha raggiunto un accordo nel porre un tetto al riscaldamento climatico ma senza una data precisa (“metà secolo”): questo avviene perché entrano in conflitto da un lato l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente e, dall’altro, l’obiettivo di accrescere la produzione (specie delle economie emergenti) che genera il problema dell’inquinamento (ma incrementa il benessere delle persone e anche il profitto di alcune imprese).
Alla luce delle considerazioni esposte l’espressione “fare sistema” sembrerebbe essere più una frase ad effetto che una ricetta veramente efficace. A meno che non si voglia fare un passo ulteriore.
Se l’obiettivo è migliorare le esportazioni italiane, il “fare sistema” evocato all’inizio può funzionare. Il fatto è che i sistemi più importanti, quelli che davvero governano e cambiano i destini delle persone, sono sistemi molto complessi. E nei sistemi complessi “fare sistema” richiede ingredienti molto più sofisticati.
I sistemi complessi sono costituiti da aggregati che interagiscono tra di loro attraverso interazioni non lineari e assumono proprietà che non derivano dalla semplice giustapposizione delle singole parti. Chi studia la complessità si sforza di trovare una terza via tra il determinismo meccanicistico dell’ordine dettato dalla logica causa-effetto e il disordine di quanto è assolutamente imprevedibile perché determinato solo dal caso.
Oggi occorre fare sistema nei sistemi complessi: sistemi, cioè, nei quali possono esistere comportamenti contraddittori e irrazionali, metodi antitetici (la competizione ovvero la collaborazione visti prima) ed obiettivi apparentemente inconciliabili (riduzione del riscaldamento terrestre e sfruttamento delle risorse a fini di benessere economico pure ricordati dianzi).
Per affrontare questa sfida occorrono leadership (politiche, culturali, imprenditoriali, economiche) all’altezza. Non capita di incontrarne spesso. Ancor meno di vedere che fanno sistema (complesso).