Negli ultimi giorni, due notizie hanno avuto ampia eco sugli organi di informazione.

La prima: alcuni studenti medi hanno lanciato una raccolta di firme per chiedere al Ministro di abolire (anche per il 2022, come avvenuto negli ultimi due anni a causa del covid) il tema scritto all’esame di maturità. Sostengono che per loro sarebbe un inutile stress anche alla luce del fatto che i professori che li hanno seguiti nel corso degli anni conoscono bene le loro capacità e le sanno valutare. Sottolineano, peraltro, che l’aver trascorso terzo e quarto anno in DAD li ha penalizzati, distruggendo parte delle basi che sarebbero dovute servire per gli esami.

La seconda notizia viene dalla Commissione che sta correggendo le prove scritte svolte da chi ha partecipato al concorso per l’accesso alla magistratura: solo 88 candidati su 1500 hanno superato lo scoglio; la più parte degli aspiranti giudici sono stati esclusi perché incapaci di scrivere in un italiano grammaticamente e sintatticamente corretto.

Tra le due notizie non c’è una connessione diretta: ma possiamo intuire che molti laureati hanno problemi con la scrittura e che questi problemi (amplificati dai corsi universitari “orali” perché non si preoccupano di offrire agli studenti occasioni per cimentarsi con la scrittura) trovano origine nella formazione scolastica ben al di là e ben prima del covid.

Pur senza scomodare Mallarmé, sappiamo quanto importante e difficile sia trovarsi di fronte al foglio bianco. Il problema della costruzione del testo è niente altro che il problema della costruzione del ragionamento. Il testo rende esplicita l’interrelazione delle idee, dei dati, dei pensieri (anche per questo la buona scrittura è figlia di tante buone letture). La parola scritta è il pensiero che prende forma in maniera ordinata, rigorosa, metodologicamente corretta. Se il pensiero non è chiaro a chi scrive difficilmente apparirà tale a chi legge. La scrittura è indispensabile per testare la propria capacità di pensare. Per molti versi serve a capire prima ancora che a farsi capire.

Considerazioni come quelle appena svolte si ritrovano in molti commenti pubblicati a margine delle notizie richiamate. Il lettore mi perdonerà se provo a formulare anche una diversa possibile interpretazione che può apparire ardita.

Nel rifiuto della (per loro stressante) scrittura io vedo la ricaduta di due fenomeni che caratterizzano la nostra epoca.

1) Ci sono stati periodi in cui obiettivo dell’uomo era sfidare e vincere il tempo. Dalle piramidi alle cattedrali l’uomo ha cercato un senso nel lasciare qualcosa che gli sopravvivesse, che lo ricordasse. Il nostro è il tempo dell’obsolescenza programmata, ovvero della produzione di beni progettati per durare pochi anni se non pochi mesi per poi essere subito rimpiazzati; è il tempo dei ponti costruiti con la sabbia e non con il cemento: perché conta solo il guadagno attuale e poco importa se il crollo consegnerà al nulla la fatica comunque fatta per erigere il manufatto. L’uomo del nostro tempo sembra non aver voglia di durare: l’unica traccia del suo passaggio saranno le montagne di rifiuti che produce, ovvero: l’informe, l’indistinto, lo scarto. Il non voler scrivere è figlio dello stesso sentimento. Lasciare un segno non è importante. Chi se ne frega se le generazioni future poco avranno e sapranno di noi. Non vogliamo durare. Probabilmente perché non vogliamo essere giudicati.

2) Affidarsi solo alla parola orale è un modo di fuggire dalle responsabilità. La parola scritta è un impegno, può essere ricordata, valutata. Le parole al vento, nel vento si perdono: che prova c’è che sono state dette? Il nostro è il tempo del vociare, dei suoni urlati che si sovrappongono in un minestrone senza costrutto. Non è certo un caso se siamo perseguitati dai “talk show” e non dai “write show”. La fuga dalle responsabilità è una cifra del nostro tempo. Specie la fuga dalle responsabilità delle élite.

Se i punti appena richiamati rappresentano il distillato del pensiero e dell’azione dei padri e delle madri, perché meravigliarsi della paura o della incapacità dei figli e delle figlie di scrivere?

l’Adige, 14 dicembre 2021

Alto Adige, 14 dicembre 2021

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