Spesso ascoltiamo storie di semplici fattorini diventati titolari dell’azienda per cui lavoravano. Più in generale assistiamo di frequente all’assunzione della guida di un’organizzazione da parte di chi di quell’organizzazione era un semplice componente. Accade all’insegnante che diventa dirigente scolastico; al giornalista promosso caporedattore o direttore del giornale; al magistrato che passa a dirigere una procura o un tribunale. Il cambio può avvenire per anzianità ovvero come esito di una selezione o di una elezione. Di certo l’assunzione del ruolo di leadership si sposa (o dovrebbe sposarsi) con il maturare di nuove competenze. E, infatti, a ben vedere, guidare un gruppo grande o piccolo di persone è un lavoro del tutto peculiare. Per convincersene basti considerare, a titolo esemplificativo, quanto avviene in ambito sanitario: i medici possono dirigere strutture complesse (ad esempio: un grande reparto ospedaliero) solo dopo aver frequentato specifici corsi di formazione (art. 15 del decreto legislativo 502/1992). E detti corsi sono finalizzati, oltre che a far capire come si dirige una struttura governando i rischi connessi, a far acquisire la capacità di gestire le risorse umane e di promuovere il benessere organizzativo. Insomma: per fare il dirigente nella sanità non basta la laurea in medicina, occorre padroneggiare anche altri saperi. E questo vale per tutti i casi in cui si è chiamati ad essere “un capo”.
Ma c’è di più. Guidare un’organizzazione non significa gongolarsi nel narcisismo di sapere di essere giunti in una posizione di potere così da “comandare” sugli altri (magari creando un “cerchio magico” al fine di isolare e vessare chi ne è fuori). Al contrario: il leader porta il peso della responsabilità di far crescere il gruppo attribuendo un ruolo positivo ad ogni membro di esso. La parola chiave è “valorizzare”. La relativa competenza è saper aiutare le persone a dare il meglio di sé. Ogni persona ha caratteristiche specifiche: chi le guida deve saperle riconoscere e fare in modo che le stesse siano messe a frutto a vantaggio del progetto comune. Ogni risorsa non valorizzata è uno spreco per l’organizzazione (e una sconfitta oggettiva per chi la guida).
Tante le ricadute concrete della necessità di valorizzare chi sta intorno: occorre saper ascoltare essendo disponibili al confronto senza usare la propria posizione per chiudere il discorso; occorre saper prendersi cura mettendo a proprio agio le persone senza mai umiliarle o addirittura farle oggetto di manipolazione; occorre saper dare l’esempio testimoniando i valori dichiarati fuggendo la superficialità o l’incoerenza; occorre dare fiducia delegando, incoraggiando, offrendo nuove opportunità ed evitando di scavalcare gli individui o di tradirne le aspettative; occorre essere generosi anche rinunciando al potere o ammettendo i propri errori.
C’è anche un rovescio della medaglia, o, se si preferisce, un modo complementare di guardare al tema che stiamo affrontando. Se al leader spetta il compito di valorizzare le persone, ad ognuno spetta il compito di “farsi valorizzare” ovvero di cercare le occasioni per dare il meglio di sé, per migliorarsi, per accompagnarsi a chi ci stima e ci attribuisce importanza. Tante sono le ricadute anche di questo diverso approccio al tema. Occorre: essere propositivi, mettersi alla prova, sperimentare nuove soluzioni, avere entusiasmo, essere motivati e concentrati, saper affrontare gli ostacoli. E così via.
So bene che qualcuno dei lettori a questo punto starà dicendo: “Tutto bello: ma ti deve essere data l’occasione di dimostrare il possesso delle qualità che hai appena elencato. Devi avere la possibilità di farti valorizzare”. È vero, e in ogni impresa occorre sempre un pizzico di fortuna. Ma il proprio destino, almeno in parte, è nelle nostre mani e nella capacità che abbiamo di costruirlo. Non aiuta restare vicino a chi dimostra di non aver bisogno di noi.
Valorizzare e farci valorizzare è la ricetta che abbiamo per migliorarci come persone e come comunità. E quando l’obiettivo sembra sfuggire possono tornare utili le parole che il protagonista del film “L’attimo fuggente” rivolge ai giovani che lo ascoltano: “Osate cambiare. Cercate nuove strade”.