Viene denominato «bonus psicologico», ed è stato finanziato dalla legge numero 15 del 2022. In particolare, l’articolo 1-quater di detta legge, dopo aver stanziato risorse per potenziare i servizi di salute mentale pubblici anche in considerazione della crisi psico-sociale causata dall’epidemia di SARS-CoV-2, ha riconosciuto, alle regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, la possibilità di erogare un contributo massimo di 600 euro a persona per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia fruibili presso specialisti privati regolarmente iscritti nell’elenco degli psicoterapeuti nell’ambito dell’albo degli psicologi. Questa misura, attribuibile a chi non supera una certa soglia di reddito, è stata adottata «tenuto conto dell’aumento delle condizioni di depressione, ansia, stress e fragilità psicologica, a causa dell’emergenza pandemica e della conseguente crisi socio-economica».
L’iniziativa è certamente meritoria perché testimonia come il nostro legislatore sia consapevole dei numerosi problemi che la pandemia ha innescato. Tuttavia induce a svolgere qualche riflessione.
La prima attiene allo strumento prescelto: il bonus. Da tempo siamo risucchiati in un vero e proprio «vortice di bonus»: abbiamo il bonus facciata (dell’edificio), il bonus caldaia, il sisma-bonus, il bonus infissi, il bonus elettrodomestici, il bonus asilo e chi più ne ha più ne metta. Nel linguaggio comune la parola «bonus» indica ormai qualsiasi forma di incentivo finanziario teso a favorire l’adozione di comportamenti ritenuti virtuosi. Ma davvero tutti questi bonus sortiscono gli effetti desiderati? È noto che l’incentivo finanziario si rivela inutile se non si risolvono i problemi di contesto.
Di qui la seconda riflessione. Questa iniziativa legislativa sembra dare per scontato che i problemi generati dalla pandemia siano circoscrivibili a disagi di natura psicologica. La legge, infatti, enumera: depressione, ansia, stress e fragilità psicologica. Ma è davvero solo questo? La risposta ai disagi provocati dal covid si risolveranno d’incanto con un numero di sedute di psicoterapia retribuitili in totale con 600 euro? O non è più verosimile credere che i problemi sorti con la pandemia inneschino dinamiche ben più ampie di quella meramente psico-sanitaria? La domanda si rivela retorica se solo si pon mente al fatto che la stessa legge riconnette all’emergenza pandemica una «conseguente crisi socio-economica».
Nasce, allora, la terza considerazione. Il bonus piscologico accredita l’idea che il disagio sia un fatto individuale e che individualmente debba essere gestito e risolto. Sembra trovare conferma una cifra dei nostri tempi: l’atomizzazione dei bisogni e della possibile angoscia esistenziale; è l’altra faccia dell’individualismo che da qualche tempo ci accompagna e che in questo caso si declina sul dolore e sulla possibilità di elaborarlo. Siamo monadi e come monadi dobbiamo trovare la soluzione ai problemi che ciascuno ha. Un tempo per certe cose c’era il prete, oggi, superato per fortuna lo stigma che creava il solo accennare alla sofferenza psicologica, ecco che la psicoterapia viene offerta gratuitamente dallo Stato (a vasto raggio, perché si coinvolgono i professionisti privati, anche se in piccole dosi, visto il limite dei 600 euro). Uno slogan di qualche decennio fa recitava: «Il personale è politico». In qualche modo è ancora valido: solo che l’enfasi è tutta sul «personale». La politica è personale nel senso che deve restare un fatto privato.
Il problema è che esiste anche e, forse, soprattutto, una dimensione collettiva del disagio che come tale dovrebbe essere affrontata. Che poi è il vecchio modo di interrogarsi sul senso dello stare insieme e sui bisogni sociali.
Ma qui arrivano le note dolenti. Da un lato la politica ha smesso di elaborare proposte di ampio respiro per dare risposte armoniche in un’ottica di visione ai bisogni sociali, compresi quelli generati dalla pandemia. Dall’altro i politici di professione pensano che il loro ruolo sia unicamente perpetuare il potere personale.
Il frutto velenoso di questa situazione è la corsa alla polarizzazione delle posizioni che è la riprova da un lato dell’incapacità della politica di elaborare soluzioni di sintesi e, dall’altro, della voglia di lucrare per tornaconto personale sullo scontro sociale (non a caso a volte sono gli stessi politici a cavalcare la divaricazione delle posizioni, quando non la alimentano di proposito, perché lo scontro, paradossalmente, crea consenso).
Si potrebbero fare tanti esempi delle dinamiche legate alla polarizzazione (lo scontro sul cambiamento climatico, sull’immigrazione, sul razzismo sistemico, sui vaccini). Ma l’esempio emblematico è quanto accaduto negli Stati Uniti dopo le elezioni presidenziali del 2020: l’estremizzazione delle posizioni ha avuto come esito l’occupazione del Parlamento statunitense, ovvero l’oltraggio della democrazia. Lo stesso drammatico tornare di attualità di parole come «guerra» e «invasione» sono la riprova della regressione totale che sta vivendo l’elaborazione politica.
Come si è detto, gli incentivi finanziari sono destinati a fallire se non si risolvono i problemi di contesto. E l’ansia generata dalla pandemia è anche un’ansia sociale che dovrebbe trovare risposte politiche di progetto e di sintesi.
Il lavoro dello psicoterapeuta spesso può essere paragonato ad un’opera di sapiente «rammendo». Il bonus psicologico assomiglia più ad una toppa.