Alcune considerazioni sui referendum svoltisi il 12 giugno scorso.
1) Problemi e soluzioni. Erano stati accomunati sotto l’etichetta “referendum sulla Giustizia” ma in realtà erano raggruppabili su due profili molto diversi tra loro. Un paio di quesiti (quello che mirava a rendere a meno stringenti le conseguenze previste dalla cosiddetta “legge Severino” per i reati commessi da chi ricopre cariche pubbliche e quello che si proponeva di limitare il ricorso alla custodia cautelare) attenevano alla “politica criminale”, ovvero all’idea che abbiamo circa le condotte da punire e le modalità per farlo. Gli altri tre (quello che voleva porre più limitazioni al passaggio tra la carriera di giudice e la carriera di pubblico ministero, quello relativo alle modalità di elezione del Consiglio superiore della Magistratura e quello volto a consentire anche ai rappresentanti degli avvocati di partecipare al processo di valutazione dei magistrati) attenevano invece più specificamente all’organizzazione della “macchina della Giustizia”.
Chi ha proposto i referendum (del tutto legittimamente) riteneva che l’abrogazione delle norme riportate nei quesiti (spesso oscuri) avrebbe “migliorato la Giustizia”. Ma nascono alcune domande. La Giustizia non funziona perché sono sbagliate le leggi o perché non funziona bene la “macchina” che deve applicarle? La legge più sbagliata che esiste (nel senso che è così ingiusta da raccogliere per essa le firme e non per altre) è la legge Severino? Il “problema Giustizia” è solo un problema di Giustizia penale (come detto, due referendum riguardavano la politica criminale e quello sulla separazione delle carriere era molto vicino al tema)?
Sono interrogativi che possono avere risposte diverse. La Giustizia può non funzionare sia perché alcune leggi sono sbagliate sia perché la macchina della Giustizia non è organizzata in maniera ottimale. Ma possono esistere anche altre ragioni. Per tanti (a differenza di chi si è preoccupato della sorte degli amministratori incappati nelle maglie della Giustizia) non è la legge Severino la legge più ingiusta che esista (peraltro, molti tra quelli che sono andati a votare si sono espressi perché la stessa rimanesse così com’è, segno che non la consideravano ingiusta). La maggiore attenzione per la Giustizia penale si giustifica probabilmente perché quello è il terreno su cui da tempo si consuma lo scontro tra politica e Magistratura (rectius: pubblici ministeri) mentre del resto del pianeta Giustizia (che è la più parte) interessa molto meno anche se la lungaggine dei processi civili è un tema che i cittadini comuni avvertono molto.
La definizione di un problema (e, quindi, in questo caso, la definizione di quali siano i problemi della Giustizia) non è un “atto neutro”. Al contrario: è esso stesso figlio di una visione politica. E il modo di definire un problema orienta in maniera significativa anche le proposte per le possibili soluzioni. Non c’è nulla di men che legittimo in questo: è solo una descrizione delle cose. Occorre solo esserne consapevoli.
2) Giustizia e politica. Da tempo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ripete che la Magistratura deve far recuperare alla funzione Giustizia prestigio e credibilità favorendo, insieme all’Avvocatura, un processo riformatore: si veda il discorso pronunciato, lo scorso 3 febbraio 2022 dinanzi alle Camere riunite, in occasione dell’avvio del suo secondo mandato. Ma nello stesso discorso il Presidente non è stato tenero neanche con i partiti, altro caposaldo della democrazia: «I partiti sono chiamati a rispondere alle domande di apertura che provengono dai cittadini e dalle forze sociali. Senza partiti coinvolgenti, così come senza corpi sociali intermedi, il cittadino si scopre solo e più indifeso». Compito dei partiti è anche quello di trovare gli strumenti più giusti per portare avanti i progetti politici. Il referendum è lo strumento più appropriato per perseguire riforme di sistema? Si può anche usare un giravite a mo’ di martello: semplicemente non si ottiene il risultato e il giravite si rompe. Purché non si dica che sia il giravite ad uscire sconfitto, quando il problema sono le maestranze. Abbiamo bisogno di riforme, ma ritorna l’annoso interrogativo circa la capacità delle istituzioni (intese in senso ampio e, quindi, anche partiti e Magistratura) di riformare se stesse.
3) I tanti ingredienti della Giustizia. L’espressione “Riformare la Giustizia” è polisemica e, spinta al limite, può anche costituire una contraddizione in termini (la Giustizia o c’è o non c’è). Già dai grandi pensatori dell’antichità nel concetto di Giustizia convergono tante cose che attengono ai rapporti umani, ai valori, al modo di essere di una comunità. Ma anche nel diverso concetto di Giustizia come applicazione del diritto al caso concreto convergono tante cose: qualità delle leggi, organizzazione ottimale delle risorse umane e materiali, processi formativi all’altezza dei tempi e molto altro ancora.
Abbiamo molti problemi, a cominciare dalla difficoltà nel definirli in maniera condivisa. Proviamo ad affrontarli nella consapevolezza che il tema Giustizia non riguarda affatto solo gli addetti ai lavori ma tutta la società. Lo scontro non aiuta.