D’ora in avanti si chiamerà Ministero dell’Istruzione e del Merito. Il cambio di nome ha suscitato, come prevedibile, un ampio dibattito e anche polemiche. In realtà non sono del tutto chiari i contenuti del mutamento di denominazione. Proviamo a capire perché.
A) Metodo o funzione? Se si fosse scelta la denominazione “Ministero dell’Istruzione basata sul merito” sarebbe stata chiara l’intenzione di valorizzare un certo tipo di approccio nella costruzione dei percorsi formativi. Si è usata, invece, la congiunzione “e” che fa pensare ad una nuova funzione che si aggiunge alla prima. Ci sono tanti Ministeri nella cui denominazione appare la “e”: Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e così via. In tutti i casi citati, la “e” fa riferimento all’assolvimento di più funzioni e non ad una modalità di esecuzione della prima funzione citata. D’altronde il termine “merito” non è stato aggiunto alla denominazione del Ministero dell’Università e certo non si può pensare che nella formazione universitaria il merito non conti. Occorre capire, quindi, se si sia voluto incidere sugli obiettivi dell’istruzione o se si sia voluto attribuire al vecchio Ministero la cura del merito in tutti i contesti in cui esso rileva. Formulo un esempio per essere più chiaro. Che il mercato lasciato a sé stesso premi il merito è tutto da dimostrare; si pensi all’annoso problema delle donne retribuite meno degli uomini a parità di mansioni lavorative: non è quello, forse, un esempio nel quale il merito viene umiliato? È possibile, quindi, che si sia voluto attribuire al Ministero il compito di difendere il merito tutte le volte in cui esso è pretermesso.
B) La scuola deve occuparsi solo del merito? Per forza di cose, si è comunque indotti a pensare che l’obiettivo sia quello di indirizzare i processi formativi. Ma anche in detta prospettiva nascono dei dubbi. Se si fosse scelto di chiamarlo “Ministero dell’Istruzione e dell’ascensore sociale” sarebbe stato chiaro che il disegno sarebbe stato quello di creare le condizioni per evitare che il figlio dell’operaio sia condannato a fare l’operaio. Se, invece, si fosse chiamato “Ministero dell’istruzione e dell’inclusione culturale” sarebbe apparso palese che l’obiettivo sarebbe stato quello di guardare alla integrazione dei figli degli immigrati (ma anche dei bimbi che nascono in famiglie dove si parla solo il dialetto). Se, ancora, si fosse chiamato “Ministero dell’istruzione e del superamento delle disabilità” si sarebbe disvelato il disegno di eliminare tutte le barriere materiali e culturali che rendono la vita più difficile ai tanti bambini con disabilità. In sintesi: c’erano tanti modi di ribattezzare il Ministero. Occorre capire se il merito deve diventare l’unico parametro a cui la scuola deve badare o se essa deve continuare ad assecondare le tante altre funzioni che da sempre essa è chiamata ad assolvere.
C) Il merito degli alunni? Sotto altro profilo si può pensare che l’obiettivo sia rendere la scuola più selettiva. Sono lontani i tempi (1967) in cui Don Milani, nel libro «Lettera ad una professoressa», dati statistici alla mano, denunciava il carattere elitario e classista dell’istruzione: circa la metà degli alunni non arrivava alla terza media e la stragrande maggioranza dei “bocciati” apparteneva alle classi più povere e non cittadine. Alla selezione fatta con le bocciature si è sostituita una selezione fatta con la scuola peggiore, non esigente, povera di contenuti. Si tratta di una selezione subdola perché muove da una uguaglianza affermata ma non praticata. Inavvertita perché al rilascio del titolo di studio formale corrisponde una disparità sostanziale. Ambientale perché all’abbassamento degli standard culturali contribuisce il complesso dei canali formativi se è vero che la programmazione televisiva generalista si basa sui reality show. Il punto diventa allora capire in che modo la scuola debba porre in esponente il merito e chi sia l’alunno che “merita”. Un solo esempio: è più meritevole l’alunno che compete con i suoi compagni per primeggiare o l’alunno che solidarizza con gli altri e aiuta i meno fortunati?
D) Il merito degli insegnanti? È possibile, infine, che la nuova denominazione si riferisca al “merito degli insegnanti”. Il tema non è nuovo. Già la legge 107/2015 (al comma 126: cosiddetta “legge sulla buona scuola varata” dal governo Renzi) prevede l’istituzione di un fondo per la valorizzazione del merito del personale docente. Ma qual è l’insegnante che merita di più? Quello che impartisce un insegnamento qualitativo migliore (ammesso che si riesca a misurarlo)? Quello che assume responsabilità di carattere organizzativo e didattico? Quello che si aggiorna? Oppure quello che riesce a schivare i pugni dei genitori che non accettano la bocciatura (accade anche questo) e magari sia in grado di restituire la pariglia? (non dimentichiamo che, oltreatlantico, c’è chi sostiene che gli insegnanti debbano andare a scuola armati di tutto punto).
Come si vede sono tanti gli interrogativi che solleva la nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione. Non possiamo che attendere di vedere in che modo verrà data attuazione a questa innovazione.
Notazione finale. Ho detto che sono lontani i tempi di Don Milani. Ma c’è una frase del suo libro che conserva intatta la sua attualità: «Qualche volta viene voglia di levarseli di torno (i ragazzi più difficili). Ma se si perde loro, la scuola non è più la scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile».