Il Presidente della Repubblica ha chiuso il discorso di fine anno, pronunciato la sera dello scorso 31 dicembre a reti unificate, con queste parole: «Care concittadine e cari concittadini, guardiamo al domani con uno sguardo nuovo. Guardiamo al domani con gli occhi dei giovani. Guardiamo i loro volti, raccogliamo le loro speranze. Facciamole nostre. Facciamo sì che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra. Sfuggendo la pretesa di scegliere per loro, di condizionarne il percorso».
In quel discorso il Presidente Mattarella ha citato più volte i giovani: lo ha fatto quando ha parlato delle giovani iraniane che sfidano il regime oscurantista del loro paese; ovvero dei giovani che si battono per l’affermazione di una nuova cultura ecologista; o, ancora, dei troppi ragazzi che perdono la vita di notte per incidenti d’auto.
Ma quell’invito finale ha un significato profondo, oserei dire “metodologico”: guardare al domani con gli occhi dei giovani.
Il lavoro che ho svolto per alcuni decenni mi imponeva di provare (almeno) a capire il punto di vista dei giovani.
Ma cosa significa esattamente: guardare al domani con gli occhi dei giovani? Per abbozzare una risposta si potrebbe partire da tre elementi.
A. Uscire dal proprio punto di vista. Una tendenza tipica degli adulti è quella di restringere la propria visione del mondo focalizzandosi solo su poche opzioni all’interno dell’insieme delle alternative. Questo porta spesso a prendere decisioni muovendosi unicamente all’interno di ciò che si conosce senza sforzarsi di cercare soluzioni alternative dando spazio alla creatività. Per convincersi dei problemi che questo modo di procedere può generare, è sufficiente rileggere un passaggio del discorso che Papa Francesco tenne quando andò in visita al Parlamento europeo il 25 novembre 2014: «Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni». Papa Francesco ci disse che anche gli ideali più nobili possono isterilirsi, rendendoci “nonne” e quindi sterili, se non vengono alimentati da modi nuovi di guardare a quegli ideali.
B. Dal “diventato” al “diventare”. Un aspetto che caratterizza le persone con un certo numero di primavere sulle spalle è adattarsi a ciò che si è “diventati”: non sto parlando di posizioni o di benessere raggiunti, ma della tendenza a dare importanza al punto di arrivo, quando la cosa davvero importante è il viaggio, ovvero il “diventare”. Nel suo libro dal titolo omonimo (“Becoming”) Michelle Obama ha scritto: «Per me diventare qualcuno non significa soltanto raggiungere una certa destinazione o conseguire un certo fine. Lo considero piuttosto un perpetuo movimento in avanti. Un mezzo per evolvere. Un modo per cercare costantemente di migliorarsi. Il viaggio non finisce. Sono diventata una madre, ma ho ancora molto da imparare dalle mie figlie e da dare a loro. Sono diventata una moglie ma sto ancora cercando di capire, conscia dei miei limiti, ciò che significa amare veramente un’altra persona e costruire una vita insieme. Sono diventata fino un certo punto una persona di potere e pure ci sono ancora momenti in cui mi sento insicura o inascoltata. Fa tutto parte dello stesso processo, sono passi lungo un percorso. Diventare richiede pazienza e rigore in parti uguali. Diventare significa non rinunciare mai all’idea che bisogna ancora crescere».
C. A modo loro. Negli anni giovanili nascono amicizie profonde che spesso durano tutta la vita, si cominciano a vivere sentimenti più maturi, si assaporano gioie vere e dolorose amarezze come quelle provocate dai primi fallimenti che qualche volta diventano rinuncia ai propri desideri. Si comprende che la ricerca della propria strada non può prescindere dalla scelta di una visione del modo cui ispirare la propria azione. Ci si misura con le prime responsabilità. Si impara che è impossibile evitare le cadute e che, quando capitano, occorre rialzarsi per diventare più forti di prima. Apprendere (dai libri e dalla vita) significa essenzialmente cambiare . Ma non esiste un solo modo di cambiare, perché la ricerca di se stessi può seguire innumerevoli strade. Occorre permettere alle giovani donne e ai i giovani uomini di vivere, crescere, diventare adulti «a modo loro». In quel «a modo loro» c’è anche la chiave per evitare che ciò che gli adulti chiamano “esperienza” diventi una zavorra che ci impedisce di trovare strade migliori.