Provi a farlo anche chi mi sta leggendo. Si pensi ad un problema (della convivenza sociale) che avevamo 20 anni fa e che adesso è stato risolto. A me non ne è venuto in mente neanche uno.
Dalla lotta alla povertà alle effettive pari opportunità tra uomini e donne, dal riconoscimento di un assetto stabile e tutelato per le coppie dello stesso sesso alle scelte di fine vita, dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro alle condizioni di vita delle persone in là negli anni, dalle aspettative legittime delle persone con disabilità al governo dei fenomeni migratori, sono tutti temi già presenti nell’agenda politica di 20 anni fa (o anche più). E l’elenco potrebbe essere molto più lungo anche omettendo di considerare problemi sistemici come il cambiamento climatico o il dissesto idrogeologico.
A volte si è registrato qualche passo avanti, altre volte si è rimasti fermi al palo. Senza contare l’insorgere di problemi nuovi (es.: la convivenza con gli orsi).
Naturalmente è impossibile dire in poche righe perché sia così difficile risolvere i problemi sociali (ammesso che qualcuno lo sappia davvero). Di seguito proverò ad enumerare alcuni elementi che, a mio avviso, contribuiscono ad alimentare la difficoltà.
A) Innanzitutto occorre ricordare che i problemi non sono dati oggettivi bensì mere ricadute dei diversi punti di vista con i quali le persone guardano la realtà. La disoccupazione è un problema per chi non ha lavoro. Ma certo non lo è per chi, grazie ad essa, può contare su una riserva di manodopera disponibile a basso costo.
B) Un altro fattore è il progressivo (e, ormai, definitivo) appiattirsi della politica sulla mera rappresentanza di interessi. La frase «Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo paese» essa sì può considerarsi definitivamente archiviata. Buona parte delle persone che si dedicano alla politica credono (in buona fede) che loro compito sia risolvere i problemi di specifiche categorie di persone a prescindere da una visione complessiva.
Il fatto è che dal mero conflitto tra interessi difficilmente esce vincitore un interesse perché più forte. Tralasciando la circostanza che non sarebbe giusto (per chi ancora attribuisce valore alla giustizia sociale) non esiste un interesse in grado di prevalere davvero, per tante ragioni. Quindi la politica ridotta a mera rappresentanza di interessi è destinata solo a produrre una situazione di stallo (che poi è la frustrazione che viviamo quando realizziamo che i problemi non si risolvono mai).
Questo approccio non riguarda solo il ruolo dei politici di professione. La più parte delle persone accetta di essere ridotto a “categoria” in conflitto con altre “categorie” per il riconoscimento dei propri interessi. Ma non riflette abbastanza sul fatto che gli individui appartengono a categorie diverse finendo col vivere il conflitto dentro se stessi: una stessa persona come “categoria lavoratore” può avere interesse a non lavorare la domenica ma come “categoria consumatore” può avere interesse ad avere tutti i negozi aperti anche nei giorni festivi (con addetti che lavorano per garantire la loro operatività). La categoria dei risparmiatori è contenta se i prodotti finanziari acquistati producono utili cospicui. Ma l’economia finanziaria può provocare bolle speculative che si riverberano sull’economia reale con conseguenze negative sul benessere della società che ricomprende anche la categoria dei risparmiatori.
Gli interessi si compongono e si aggregano secondo dinamiche non sempre comprensibili. E la loro polarizzazione caratterizza ormai le democrazie occidentali che appaiono irrimediabilmente spaccate. L’assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021 rimane, tra le tante cose, il simbolo di queste fratture profonde.
C) Un terzo elemento è la penuria di persone capaci di vedere le cose dal punto di vista delle foglie, ovvero di soggetti che, guardando le cose dall’alto, facciano tesoro della visione d’insieme e, astraendosi dagli interessi settoriali o polverizzati, siano in grado di proporre soluzioni di interesse generale ovvero idonee, almeno, a superare lo stallo.
Assistiamo ad una specie di “eclissi delle élite”. Chi, per il ruolo che riveste, può (e deve) guardare le cose dall’alto si preoccupa solo di conservare la posizione di vantaggio. E tanto più i problemi non si risolvono, tanto più rimane fermo lo status quo e il privilegio di chi trae profitto dalla situazione esistente.
Il ciclo naturale delle cose contempla il ricambio periodico delle foglie. Ma se la pianta ad alto fusto non ha più gli strumenti culturali per produrre foglie con capacità di visione neanche il ricambio è in grado di assicurare un qualche miglioramento o il superamento dello stallo.