Il termine “identitario” indica ciò che è relativo all’identità, nel senso di coscienza, anche collettiva, della propria individualità e personalità. Identità è quello che ci fa riconoscere dagli altri, ma è anche qualcosa in cui noi ci riconosciamo e che sentiamo nostro.
Ciò che ci fa riconoscere e in cui ci riconosciamo va ben oltre le caratteristiche fisiche (essere alti o bassi, biondi o bruni, etc.): è il vissuto a definire realmente un’identità. Il nostro senso del sé e dell’identità dipende soprattutto dalla memoria degli episodi passati e dei fatti autobiografici. Le biografie di ciascuno forniscono la continuità narrativa tra passato e futuro: i ricordi formano il nucleo dell’identità personale caratterizzando il nostro posto nel mondo. Esiste quindi un rapporto molto stretto tra identità e memoria.
Oltre a quella dei singoli, esiste anche una identità collettiva: da quella di un gruppo di amici fino all’identità nazionale. L’identità collettiva si caratterizza in funzione dell’appartenenza ad un gruppo. Inutile dire che anche questo tipo di identità è legata a filo doppio con la memoria.
Non a caso esistono delle occasioni nelle quali si celebrano e, quindi, si ricordano altrettanti episodi importanti della vita della nostra comunità, eventi su cui si è costruita la nostra identità nazionale. Ad esempio, con la legge n. 222/2012 è stata istituita la «Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera»: nelle scuole di ogni ordine e grado, il 17 marzo, giorno della proclamazione, nel 1861, dell’Unità d’Italia, sono organizzati percorsi didattici, iniziative e incontri celebrativi finalizzati ad informare e a suscitare la riflessione sugli eventi e sul significato del Risorgimento nonché sulle vicende che hanno condotto all’Unità nazionale, alla scelta dell’inno di Mameli e della bandiera nazionale e all’approvazione della Costituzione.
Alcune occasioni sono vere e proprie solennità civili. Il 2 giugno si celebra la festa della Repubblica perché in quel giorno, nel 1946, il popolo italiano scelse la forma istituzionale da dare al paese, decidendo tra monarchia e repubblica.
Con legge sono state istituite varie giornate “della memoria” o “del ricordo” (ad esempio: per le vittime delle foibe, per le vittime della mafia, per le vittime del terrorismo). Per effetto della legge n. 211/2000 la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, «Giorno della Memoria», al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Il 27 gennaio non si ricorda solo l’abominio delle Shoah e delle leggi razziali: si ricordano anche deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Fu la sorte di mio padre, soldato dell’esercito italiano, catturato dai soldati tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e deportato in un campo di concentramento in Austria (un’esperienza di cui non ha mai parlato a fondo, e mi porto dentro il rammarico di non aver scandagliato a fondo la sua testimonianza, sempre che avesse avuto voglia di parlarmene). Fu liberato dagli anglo-americani e tornò a casa dopo il 25 aprile 1945. Ho indugiato su questo ricordo di natura personale perché sono certo che, tra i lettori, in tanti possono citare esempi di parenti che hanno vissuto in prima persona gli accadimenti che hanno dato corpo alla nostra storia condivisa (nel senso di: vissuto di tanti).
Anche il 25 aprile, appena richiamato, è una solennità civile. In quella data l’Italia celebra la Liberazione dal nazifascismo. La legge istitutiva (n. 260) è del 1949 e reca la firma (nella Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 1949) di Luigi Einaudi e di Alcide De Gasperi. In realtà la festa era già stata prevista (in via provvisoria) dal decreto luogotenenziale n. 185 del 22 aprile 1946 sottoscritto da Re Umberto di Savoia e dallo stesso De Gasperi.
Ho citato l’espressione “storia condivisa”. Essa può essere intesa in due modi. Da un lato, aver vissuto le stesse esperienze; dall’altro, dare lo stesso significato valoriale alle esperienze vissute.
Nel giorno della memoria (27 gennaio) ricordiamo le vittime della Shoah. Eppure alcuni nostri connazionali minacciano in ogni modo la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, al punto che le è stata assegnata una scorta. Ma della nostra identità nazionale fa parte la condanna senza riserve dell’olocausto.
Italiani furono quelli che emanarono, osannarono e applicarono le leggi razziali. Ma tanti italiani si opposero a quel crimine e oggi ricordiamo, come detto, quanti si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Ricordiamo chi si oppose allo sterminio perché questo è il valore in cui ci riconosciamo.
Nel 1946, Salvatore Quasimodo, nella poesia: «Alle fronde dei salici», scriveva «E come potevamo noi cantare/con il piede straniero sopra il cuore». Oggi celebriamo la Liberazione dall’invasore nazista perché ci riconosciamo nei valori esattamente opposti a quella ideologia di sopraffazione e di morte.
La nostra identità nazionale è il frutto del significato che diamo alle esperienze vissute. Se non è condiviso è difficile che si aprano prospettive di progresso.