L’aggressività sembra diventata il faro dei leader politici.

Ripropongo un mio editoriale di 10 anni fa: già allora sottolineavo “l’eclissi della mitezza”.


Nei prossimi giorni prenderà il via a Terzolas una scuola estiva di formazione politica a cura  dell’associazione per l’educazione alla politica e alla democrazia denominata Rosa Bianca.  L’iniziativa suggerisce alcune riflessioni.

Qualche decennio fa Norberto Bobbio scrisse un saggio intitolato: «Elogio della mitezza». Egli tracciò i contenuti di questa virtù e le caratteristiche degli uomini miti, concludendo che la mitezza è l’antitesi della politica. Significativo il passaggio dove ricorda che, nel capitolo XVIII del Principe di Machiavelli, i due animali simbolo dell’uomo politico siano il leone e la volpe. Il mite agnello, secondo Bobbio, non è un animale politico: semmai è la vittima predestinata.

Guardiamo all’oggi. Siamo ormai abituati a pensare che la politica sia il meccanismo necessario per conquistare il potere. Assistiamo a comportamenti arroganti e prepotenti che mirano alla sopraffazione del nemico politico. Il potere viene concepito come occupazione dei posti di comando a vantaggio degli amici di cordata e come sistematica emarginazione dei soggetti percepiti come appartenenti a clan diversi. Il tutto condito dalla svalutazione fisica e morale dell’avversario che trova nell’insulto la sua apoteosi.

C’è da chiedersi, però, se la formazione politica non debba coincidere con l’insegnamento dell’esatto contrario di tutto questo. La politica non dovrebbe essere lotta per il potere materiale ma umile difesa di idee e di visioni del mondo. La politica non dovrebbe avere nulla a che vedere con l’ostentazione del proprio ego (non a caso il suo canto del cigno sono i partiti legati al destino di un solo soggetto). Essa dovrebbe nutrirsi di sobrietà, di generosità, di semplicità, di altruismo. Per superare tutto ciò si dovrebbe puntare proprio sull’antitesi di questa politica: la formazione politica dovrebbe porre in esponente la mitezza.

Il mite, in politica, non è in competizione perché non deve distruggere nessuno. Ciò non vuol dire che sia rassegnato o remissivo. Tanto meno che si mostri prono dinanzi al potente di turno. Egli si caratterizza per la sua passione civile, per l’impegno che profonde nel lavorare alle cose in cui crede. Non ambisce ad essere leader perché sa che i veri cambiamenti non nascono per il volere dell’uomo solo al comando ma per l’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Per questo il mite non esclude ma cerca di coinvolgere. Non offende ma prova ad ascoltare le ragioni dell’altro perché si ha sempre qualcosa da imparare. Il mite sa che la politica non si fa nella stanza dei bottoni ma nell’agire quotidiano.

Bobbio diceva anche di amare «le persone miti perché sono quelle che rendono più abitabili questa aiuola». Se la nobiltà della politica sta proprio nel rendere migliore il mondo in cui viviamo occorre dar credito alle persone miti.

 

Corriere del Trentino, 27 agosto 2014

 

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