La politica come rappresentanza di interessi a somma zero

Da molti lustri, ormai, la più parte delle persone (tanto tra gli esponenti politici quanto tra i cittadini) ha introiettato la convinzione che la politica sia mera rappresentanza di interessi. Gli elettori votano non già in ragione di una visione politica (ove mai ne esistano ancora) ma per far eleggere coloro ritenuti idonei a favorire i propri interessi o la propria categoria. E i candidati alle elezioni si propongono perché si ritengono in grado di soddisfare determinati obiettivi di parte (compreso, in alcuni casi, quelli delle lobby).

Assistiamo, così, alla crescente enfatizzazione delle contrapposizioni tra soggetti (singoli e collettivi) portatori di interessi ritenuti in conflitto: i lavoratori dipendenti contro “il partito delle partite IVA” (lavoratori autonomi); lavoratori a tempo indeterminato contro lavoratori precari; regioni più ricche contro regioni più svantaggiate; popolo contro élite; autoctoni contro immigrati; famiglie tradizionali contro nuove forme di famiglia; e così via.

Questa situazione genera alcune peculiari conseguenze.

1. «I first». Prima gli italiani, prima quelli della mia regione, prima quelli del mio paesello, fino ad arrivare all’agognato (e ormai non più inconfessato) “prima io in ogni caso” è diventato da tempo uno slogan diffuso delle campagne elettorali. L’unico obiettivo è far prevalere il proprio interesse anche a scapito del principio di uguaglianza (es.: rivendicare il proprio diritto di non pagare le tasse tanto ci pensano gli altri a pagarle) ovvero di considerazioni etiche (premiare gli interessi delle case farmaceutiche e poco importa se i farmaci salvavita hanno prezzi esorbitanti anche se non giustificati).

2. Il gioco a somma zero. Si è fatta strada la convinzione che la tutela dei propri interessi sia possibile solo sacrificando gli interessi degli altri: posso avere cento solo se un altro perde cento (la radicalizzazione del principio “mors tua, vita mea”). Si crede che un interesse possa prevalere solo annientando l’interesse contrapposto. Secondo questo modo di vedere le cose, il “gioco della vita” è necessariamente a somma zero: si vince solo se le pretese dell’avversario (reale o creato ad arte) vengono ignorate o, appunto, “saccheggiate” perché solo così si creano le condizioni per ottenere ciò che si vuole.

3. Il “diritto di odiare”. Ad uscire mutati appaiono anche i nostri sentimenti. A volte non è davvero chiaro se le persone siano più appagate dall’ottenere ciò che vogliono o dal sapere che gli altri non riescono ad ottenere ciò che desiderano. In ogni caso da qualche tempo c’è anche chi esplicitamente rivendica il “diritto di odiare” (gli avversari, i diversi da sé, i diversi da ciò che si reputa “normale”). Ma che vita è quella che si riduce a coltivare l’odio? L’odio non è forse il carburante migliore della violenza e, alla fine, della guerra? E davvero qualcuno pensa che la gente comune abbia qualcosa da guadagnare dalla guerra?

Se questo è il quadro, occorre fare qualche riflessione.

Cominciando da ciò sembra essere stato smarrito: la capacità di cooperare. Oggi siamo tutti presi in una competizione sfrenata in ogni campo, compreso quello educativo (anche le scuole elementari sono in competizione tra loro se è vero che pure nelle scuole di primo livello si organizzano gli “open day” affinché i genitori scelgano una scuola invece che un’altra, come se l’obiettivo non dovesse essere quello di assicurare a tutti i bambini una istruzione di qualità). Eppure, l’esperienza recente ci ha insegnato che la cooperazione aiuta a raggiungere più velocemente risultati utili per tutti: si pensi al periodo del covid nel quale gli scienziati di tutto il mondo hanno condiviso le informazioni utili a conoscere e combattere il virus.

Siamo tutti impegnati in un’eterna guerra di trincea e di logoramento dimostrando di aver dimenticato che possono esistere soluzioni che fanno stare meglio tutti ovvero un maggior numero di persone. La cosa peggiore è che ci siamo disabituati ad immaginare grandi obiettivi a lungo termine, impegnati come siamo a conquistare un piccolo risultato oggi.

Abbiamo bisogno di una politica che non sia mera rappresentanza di interessi; di una politica che guardi non a categorie da premiare a scapito di altre, ma alla società nel suo insieme e al miglioramento delle condizioni di tutti. Di una politica “alta” che rimetta al centro grandi idee di futuro ovvero visioni che facciano sentire tutti compresi e coinvolti.

l’Adige, 3 gennaio 2025

 

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